Arturo Zampaglione. La telecamera del drone riprende gli alberi dai colori ormai autunnali di Magazine park, un angolo di verde a Cambridge, nel Massachusetts, lungo il fiume Charles e accanto al famoso MIT. A un certo punto si intravede in lontananza un falco. Sembra avvicinarsi. Poi l’uccello rapace si cala in picchiata sul piccolo aereo-robot. I suoi artigli lo fanno ruotare su stesso. Il motore si ferma.
Il velivolo — un Dji Phantom a quattro eliche che appartiene a Christopher Schmidt, un giovane sviluppatore di software — cade sul prato, segnando l’uno-a-zero per il falco.
Sì, perché ormai è guerra aperta tra il mondo animale e il nuovo giocattolo volante dell’uomo: come dimostrano decine di video postati su YouTube e cliccati da milioni di curiosi. Non si vedono solo una miriade di uccelli — gazze, gabbiani, oche, gru, corvi e naturalmente i falchi — reagire a quelle considerano intrusioni minacciose nel loro spazio aereo, ma ci sono anche filmati di canguri australiani che sferrano pugni ai droni, di gattopardi che li inseguono per le praterie africane, di pinguini che scappano sul ghiaccio artico, di arieti che li caricano a testa bassa. E sempre su YouTube sono comparse le immagini di uno scimpanzé che afferra un ramo per abbattere l’ospite indesiderato che gli ronza nella gabbia dello zoo olandese.
«L’ostilità degli animali verso i droni dimostra che li disturbiamo e spaventiamo, oltre a turbare delicati equilibri ecologici», dice con preoccupazione Scott Kathey, responsabile del santuario marino di Monterey Bay, in California, dove i “paparazzi volanti” costringono le foche che prendono il sole sulla spiaggia a rifugiarsi nelle acque gelide del pacifico assieme ai loro bebè.
Rimbalzato sulle colonne del
New York Times , l’allarme-droni dei biologi americani si aggiunge a quello della Faa (Federal aviation administration), l’agenzia che tutela il trasporto aereo, secondo cui dal primo dell’anno al 9 agosto i controllori di volo hanno registrato 650 incursioni pericolose nello spazio aereo, rispetto alle 238 dell’intero 2014. Il rischio? Che prima o poi gli incontri tra velivoli-robot e velivoli commerciali diventino troppo ravvicinati. Ed è un pericolo destinato a crescere visto che le proiezioni dell’industria del settore ipotizzano la vendita negli Stati Uniti di un milione di droni come regali natalizi. Proprio per questo, del resto, la Casa Bianca ha intenzione di varare entro il 20 novembre la prima anagrafe nazionale dei droni, in modo anche da responsabilizzare i neofiti e scoraggiare missioni azzardate. Intendiamoci: i droni sono stati finora, e lo resteranno, un prezioso strumento per studiare il mondo animale e per difenderlo da malattie e bracconieri. Sono sicuramente meno invasivi delle jeep, delle barche o degli elicotteri, usati una volta dai ricercatori. Adesso servono ai biologi in Patagonia per avvicinarsi allo spruzzo delle balene e controllarne lo stato di salute delle mucose. Sono impiegati dalle autorità del Kenya per combattere contro i cacciatori di frodo di elefanti e rinoceronti nelle riserve. Ma in molti altri casi contribuiscono allo stress della natura e a cambiare le abitudini degli animali.
È stato notato, ad esempio, che l’avvicinarsi di un drone a quattro orsi bruni del Minnesota, che venivano monitorati dalle guardie forestali attraverso dei sensori, ha portato a una impennata del loro battito cardiaco. E anche per questo il Servizio Nazionale dei parchi americani ha vietato l’uso dei droni in tutti i suoi luoghi protetti, a cominciare dal più grande, il parco di Yellowstone.
Repubblica – 26 ottobre 2015