Qualità dei prodotti, riduzione degli infortuni, nuovi turni, limitazione degli scarti e dei resi, incremento di produzione, risparmi nell’utilizzo dei materiali, soddisfazione dei clienti, miglioramento dei processi. Questi alcuni dei criteri di misurazione della produttività incentivata fiscalmente che il governo valuta di inserire nel decreto interministeriale ormai quasi pronto.
Il testo messo a punto dal ministero del Lavoro – di pochi articoli, cinque o sei – è all’esame tecnico del ministero dell’Economia e dovrebbe essere approvato la prossima settimana, senza bisogno di passare dal Consiglio dei ministri, con un lieve ritardo rispetto al 29 febbraio, data limite indicata nella legge di Stabilità.
I criteri sono cruciali per far partire la detassazione al 10% dei premi di risultato per la quale è a disposizione un miliardo e mezzo nel triennio 2016-18, anche se nel decreto verranno elencati solo da un punto di vista qualitativo, alla stregua di parametri. Saranno poi i singoli contratti aziendali a declinarli in termini di cifre e percentuali, a tradurli cioè in obiettivi quantitativi misurabili.
L’elenco non è esaustivo, spiegano da Palazzo Chigi. Riprende alcuni dei criteri più popolari, già utilizzati in via sperimentale da alcune imprese, descrivendoli in modo ampio e generico. Ed è contenuto in un allegato al decreto, una scheda che serve anche ad illustrare il meccanismo di monitoraggio, una novità assoluta con la quale il ministero del Lavoro conta di vigilare sull’applicazione delle norme. L’azienda dovrà in pratica compilare un veloce questionario online – con dieci spunte da mettere – nel momento in cui invia, come oggi, il pdf con il contratto alla direzione territoriale del lavoro. Dovrà cioè dire se ha attivato la partecipazione dei lavoratori, se adotta misure di welfare, se ha incentivato la produttività e quali criteri ha usato.
Il governo stima un incremento del 4% rispetto al 2013 (ultimo anno in cui era in vigore) dei lavoratori che beneficeranno del salario di produttività tassato al 10%, anziché con le aliquote Irpef (in media il 27%). Per un totale di 3 miliardi di somme agevolate nel 2016. Inclusi nello sgravio i redditi sino a 50 mila euro lordi per un massimo di 2 mila euro extra di beneficio, 2.500 euro se i dipendenti sono coinvolti nell’organizzazione del lavoro. Completamente detassato invece il pacchetto welfare (alternativa al premio in denaro): voucher da spendere per asili nido, assistenza a disabili e anziani, centri estivi e invernali, borse di studio, mensa.
Nel decreto vi sarà poi anche un richiamo puntuale al contratto collettivo, così come auspicato dai sindacati che ne hanno fatto esplicita richiesta al governo in un recente incontro a Palazzo Chigi. «La detassazione del salario legato alla produttività è la strada giusta, ma sospendiamo il giudizio sino alla lettura dei testi», commenta Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil. «Fino a che non vediamo il testo non possiamo pronunciarci», conferma pure Franco Martini, segreteria confederale Cgil. «Siamo troppo bruciati dalla vicenda appalti, con le norme votate dal Parlamento poi stravolte a Palazzo Chigi. Ma qui ci aspettiamo che il governo mantenga la parola e che dunque la detassazione sia agganciata alla contrattazione di secondo livello e non avvenga attraverso procedure unilaterali delle imprese. Poi attendiamo un segnale pure sui voucher in generale, perché ci sia più vigilanza. E su quelli legati al welfare perché non si trasformino in alternativa al salario nominale». Anche Gigi Petteni, segreteria confederale Cisl, chiede che «la fiscalità di vantaggio sia legata alla contrattazione, non ad iniziative unilaterali e sporadiche delle aziende». Senza sinergie con i sindacati «c’è il rischio di dare premialità ai lavoratori a prescindere dalla contrattazione».
Repubblica – 13 marzo 2016