di Ivan Cavicchi. Mentre Bruxelles dice che la nostra manovra finanziaria è da rivedere, e Cottarelli prepara la sua spending review di 32 miliardi sulla pubblica amministrazione, le Regioni all’unanimità chiedono per la sanità 11 mld in più, 6 per il fondo e 5 per costruire nuovi ospedali. Se in sanità non vi fosse lo scialo che c’è sarebbe una buona notizia almeno per chi crede come me nel ruolo economico della spesa pubblica.
Purtroppo lo scialo c’è e per liberare soldi ci vuole una riforma. Ma le Regioni non hanno questo progetto di riforma e da quello che capisco neanche Cottarelli, che si prepara a mettere in campo nuove restrizioni a partire dalla revisione dei livelli essenziali. Nell’elenco dei suoi obiettivi di risparmio compaiono gli acquisti di beni e servizi, i protocolli terapeutici, ma non la medicina difensiva anche se rappresenta uno spreco di 10 milioni, non i costi della corruzione e degli abusi delle diseconomie, mentre le anti economie legate alla vetustà del modello di tutela e del sistema di servizi, non è neanche concepito.
Quindi tanto Cottarelli che le Regioni non hanno neanche una mezza idea su come intervenire, per cui è probabile che rispuntino i “tagli lineari”, perseverando a definanziare il sistema. A me-sembra che rifinanziare la sanità e tagliare sulla sanità siano in qualche modo le due facce di una comune incapacità riformatrice. Rifinanziare e definanziare l’invarianza sono due modi diversi per spingere ancora di più il sistema nelle braccia della controriforma. Cottarelli sta alle Regioni come un certo tipo di “riformista che non c’è” sta a un altro tipo di “riformista che non c’è”. Entrambi espongono sempre di più la sanità pubblica a una controriforma. Ormai sono in tanti coloro che, in sanità, traducono la pochezza dei governatori regionali in una critica radicale all’ istituzione regionale in quanto tale. Ma confondere le virtù della barca e l’incapacità del capitano può essere pericoloso. Eppure sia da destra che da sinistra si invoca a gran voce la contro riscrittura del titolo V della Costituzione, cioè la revisione dei poteri regionali sulla sanità inseguendo pericolose centralizzazioni. Viene in mente un bel film, “L’ammutinamento del Caine”, nel quale il capitano Quegg, paranoico e nevrotico, viene destituito dall’equipaggio per manifesta incapacità. I governatori che chiedono di rifinanziare la sanità oggi appaiono fuori di testa come il capitano Quegg. Dispiace non essere nelle condizioni di discernere le differenze politiche tra Regioni, che pur esistono, e dispiace accomunare in un bilancio disastroso anche chi ha fatto del suo meglio, ma i fatti parlano chiaro: dopo 12 anni di titolo V il nostro capitano Quegg ha abbassato la spesa tagliando prevalentemente sui diritti dei cittadini; incapace di rispondere ai mutamenti economico-sociali ha spinto il sistema verso la regressività rendendolo sempre più anti economico, ha svenduto un bel pezzo di sanità pubblica al privato. Oggi il nostro “capitano Quegg”, nonostante il potere di dettare norme di rango primario, rischia di farci affondare. Accrescere la spesa senza riformare il sistema è insostenibile e spiana la strada alla controriforma. La prova è esattamente Cottarelli e prima di lui Bondi, ma anche le proposte di superamento dell’universalismo avanzate dal governo Letta.
Quindi lo stato confusionale in cui si trova il nostro “capitano Quegg” per noi è il problema. Per rendercene conto basta guardare alla faccenda dei costi standard e a come le Regioni si siano come intrappolate nella loro dappocaggine. Esse, in ogni occasione, ci dicono che il costo standard è un mezzo per difendere sia 1′ universalismo contro i tagli lineari che le autonomie e le specificità dei territori e dei bisogni di salute. In realtà i costi standard se concepiti secondo le metodologie della contabilità analitica, sarebbero un contro universalismo perché il loro scopo è uniformare in modo lineare la spesa al ribasso. Ritenere poi che la nozione di standard sia compatibile con quella di autonomia, di specificità e di peculiarità è a dir poco contraddittorio.Gli standard servono a uniformare le differenze. Il nostro capitano Quegg ha cavalcato i costi standard per difendersi dai tagli ma ora scopre di non essere in grado di definirli, perché privo di una epistemologia adeguata, e perché in sanità definirli come si deve è praticamente impossibile. Per venirne fuori egli sta tentando il papocchio cioè un rimasticamento degli attuali criteri di distribuzione ponderata. Questa è una buona notizia e una pessima notizia: i costi standard non si faranno ma i problemi legati al finanziamento delle Regioni resteranno irrisolti e Cottarelli avrà buon gioco per tagliare. Il problema vero quindi è il capitano, non la nave. A questo proposito mi sorprende scoprire che Cot-tarelli preveda di risparmiare intervenendo, tra le varie cose, sul «personale navigante e aereo navigante». Chissà cosa ha in mente di fare. Da parte mia mi chiedo se con i governatori fuori di testa per salvare la sanità pubblica dal naufragio anche noi, come l’equipaggio del dragamine Caine, non ci si debba ammutinare.
Il Manifesto – 20 novembre 2013