L’emergenza Pfas (sostanze perfluoroalchemiche) è già costata al Veneto 6,7 milioni di euro: 2,5 per analisi e monitoraggio di matrice del suolo, acque superficiali e di falda relative ai 21 Comuni inquinati tra Vicenza, Padova e Verona; 1,2 per l’acquisto di macchinari sofisticati per i campionamenti che solo l’Arpav, in Italia, ha a disposizione; e 3 per lo screening sulla popolazione interessata (84.795 persone dai 14 ai 65 anni).
Ma altri 10 milioni all’anno nel prossimo decennio saranno investiti nel prosieguo dello screening, quindi la spesa finale sarà di 106,7 milioni. «E noi presenteremo il conto a chi la magistratura indicherà come il responsabile di tutto ciò — dice l’assessore all’Ambiente, Gian Paolo Bottacin — chi inquina paga. La Regione, con delibera di giunta del 17 gennaio, ha deciso di costituirsi parte offesa nei procedimenti relativi ad ogni ipotesi di reato che dovessero essere individuate. Anche relativamente ai delitti di più recente introduzione, come l’inquinamento ambientale e il disastro ambientale. Ricordo ai sindaci, anche agli otto firmatari di una lettera a Papa Francesco sul disastro ambientale causato dalle Pfas (i primi cittadini di Lonigo, Noventa, Sarego, Pressana, Bevilacqua, Zimella, Veronella e Albaredo, ndr ), che possono a loro volta costituirsi parte offesa». «Bisogna avviare cause contro la ditta che ha emesso tali inquinanti (si riferisce alla Miteni di Trissino, ndr ) — insiste Andrea Zanoni (Pd), vicepresidente della commissione Ambiente, davanti alla quale ieri l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, e il dg di settore, Domenico Mantoan, hanno relazionato sul tema — al fine di ottenere la ristorazione dei costi. Non è giusto che a pagare siano i cittadini veneti».
E a proposito di soldi, la giunta Zaia ha appena corrisposto altri 400mila euro all’Arpav perchè approfondisca in tempi rapidi lo stato della contaminazione di tutte le matrici ambientali coinvolte nell’area su cui insiste la Miteni. «Sosterremo le eventuali spese aggiuntive legate all’operazione — conferma Bottacin —. Dopo la scoperta, il 25 gennaio, di rifiuti interrati lungo l’argine del torrente Poscola e il conseguente sequestro di quel lotto da parte della Procura, con delibera del 14 febbraio abbiamo chiesto all’Arpav di sviluppare insieme alla Conferenza dei servizi attivata dal sindaco di Trissino un’indagine dettagliata sulle aree esterne e interne alla Miteni, che collabora. Stiamo operando per la tutela della salute pubblica e la messa in sicurezza dell’acqua potabile con i filtri, ma non spetta a noi rimuovere la causa dell’inquinamento». Anche se nel Piano delle Acque si ipotizza la delocalizzazione di aziende che insistano sulla falda e possano inquinarla.
L’altro fronte aperto è la scelta, d’intesa con i gestori degli acquedotti, «della soluzione strutturale più rapida e duratura per l’approvvigionamento idrico alternativo dell’area inquinata». Ovvero un nuovo acquedotto, per il quale sono già stati predisposti diversi progetti e che il governo ha promesso di finanziare con 80 milioni di euro, però ancora da svincolare dal parte del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Un programma ribadito ieri mattina, dopo la manifestazione di Greenpeace che ha appeso su Palazzo Balbi lo striscione «Stop Pfas in Veneto, fermiamo gli scarichi» e appoggiato un tubo nero davanti all’ingresso acqueo. «La Regione non ha ancora scovato tutte le fonti di inquinamento da Pfas — nota il portavoce Giuseppe Ungherese — noi ne abbiamo trovata un’altra a Valdagno». «Le Pfas sono ovunque, anche nel resto d’Italia — replica Nicola Dell’Acqua, dg dell’Arpav — l’importante è tenere sotto controllo la concentrazione. Dal 2013, anno in cui il ministero della Salute ci ha segnalato il problema, grazie ai filtri l’acqua potabile è tornata sicura. Ora stiamo prelevando campioni nelle cento aziende agricole interessate all’abbeveraggio degli animali».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 10 marzo 2017