Per giocare credibilmente la carta della cosiddetta «clausola relativa alle riforme orientate alla crescita», che spicca nei documenti che il ministero dell’Economia ha inviato a Bruxelles, bisogna andare fino in fondo. Toccare il traguardo dell’ultimo decreto attuativo della delega lavoro entro giugno. E portare all’approvazione definitiva, sempre entro il primo semestre, la delega per la riforma della Pa e del pubblico impiego.
Lasciamo agli appassionati di econometria la valutazione sull’impatto stimato di questi provvedimenti sul prossimo quinquennio. Quel che conta è che per l’Unione europea, l’Ocse e il Fondo monetario il completamento della riforma del mercato del lavoro e la riorganizzazione della macchina amministrativa sono considerati tra gli obiettivi strategici per l’Italia. Dunque non si può rallentare la corsa. Per vedere attuato al cento per cento il Jobs Act mancano ancora diversi atti: la nuova cassa integrazione, la semplificazione dei contratti, le misure per la conciliazione, l’Agenzia per le ispezioni sul lavoro e quella per le politiche attive (purtroppo da approvare, quest’ultima, prima del nuovo Titolo V della Costituzione). Restano quattro mesi di tempo ed è da scongiurare l’ipotesi di una proroga della delega, com’è avvenuto per quella fiscale.
Poi c’è il Ddl di Marianna Madia, presentato in Senato, dopo una doppia approvazione in Consiglio dei ministri, lo scorso 24 agosto. Non ha ancora superato la prima lettura. Quel testo contiene undici deleghe al governo per riformare, in un anno al massimo, l’organizzazione territoriale dello Stato, il testo unico del pubblico impiego, per semplificare (via digitalizzazione) l’offerta dei servizi a cittadini e imprese, la riforma della dirigenza e tanto altro. Bisogna approvare tutto e implementare le nuove misure fino in fondo entro la legislatura. Se poi l’impatto sulla crescita economica ci sarà meglio ancora.
Il Sole 24 Ore – 23 febbraio 2015