Il nodo della durata Il governo vuole confermare i 36 mesi dei contratti a termine acausali, la sinistra punta a 24 mesi. Aperture sull’apprendistato. «Nessuno stravolgimento per il Dl lavoro, che deve essere confermato nell’impianto fondamentale, ma qualche cambiamento è possibile».
Questa la linea del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che riecheggia la convinzione del premier Renzi che sia necessario introdurre maggiore flessibilità nel mercato del lavoro per invertire il trend della disoccupazione. Disponibilità, dunque, a ridurre il numero delle proroghe, che rispetto alle attuali 8 potrebbero diventare 6. La disponibilità potrebbe portare a rivedere la norma che rende facoltativa la formazione pubblica per l’apprendistato professionalizzante, contro il rischio di incorrere in sanzioni da parte della Ue, senza però compromettere l’obiettivo, che resta quello di semplificarne la disciplina per le imprese.
Questo l’accordo di massima raggiunto ieri in una serie di riunioni iniziate di mattina tra la segreteria del Pd, il capogruppo della Camera Roberto Speranza, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano e i componenti dem della commissione tra cui il relatore Carlo Dell’Aringa. Poi l’incontro serale, dalle 20.30 nell’auletta dei gruppi della Camera, tra il ministro e tutti i deputati del Pd. L’orientamento del governo è quello di confermare la durata di 36 mesi del contratto a termine senza causali, oggetto di forti critiche da parte della minoranza del Pd e della Cgil. Il chiarimento all’interno del Pd si è reso necessario a causa delle divisioni tra la minoranza – alla quale aderisce la gran parte dei deputati del Pd della Commissione lavoro – e i renziani che sostengono l’impianto del decreto insieme a Nuovo centrodestra e Forza Italia. La minoranza, in particolare, preme per ridurre da 36 mesi a 24 la durata del contratto a termine acausale, e su questo punto alcuni esponenti della minoranza dem ieri davano per già acquisito l’ok del governo, sia pure informalmente. È spuntata anche l’ipotesi di una mediazione a 30 mesi. Ma Poletti ha ribadito che sulla durata del contratto non intende fare marcia indietro. Eparlando in serata ai deputati ha fatto chiaramente capire che si tratta di un punto di mediazione delicato che sarebbe difficile mettere in discussione: «Il governo ha presentato un pacchetto largo e ha prodotto un punto di equilibrio nella maggioranza e negli attori sociali e investitori internazionali – ha detto il ministro –. Questo pacchetto ha prodotto un effetto: il Dl è diventato una cartina di tornasole per il governo e per il Pd di fare le riforme. Sapremo ora fare le riforme?». E ancora: «Non si tratta di prendere o lasciare, madella possibilità di valutare elementi di modifica senza stravolgimenti». Altro punto oggetto di discussione è l’eliminazione dell’obbligo di stabilizzare una quota di apprendisti primadi assumerne nuovi che per Poletti va confermata nel Dl, soprattutto a tutela delle piccole imprese. Nella discussione si è ipotizzato di differenziare a seconda della dimensione di impresa, distinguendo tra grandi e piccole. La capacità di tenuta di questo accordo di massima si vedrà quando verranno presentati gli emendamenti al decreto legge in commissione Lavoro alla Camera, dove la scadenza è slittata dal 4 all’11 aprile. Fino a metà della prossima settimana proseguiranno le audizioni di parti sociali ed esperti, poi inizierà la discussione generale. L’avvio dell’esame da parte dell’Aula slitta a dopo Pasqua, a partire dal 22 aprile. Completa il pacchetto di riforme sul lavoro il Ddl delega che introduce il contratto di inserimento a tutele crescenti insieme alla riforma degli ammortizzatori, che ieri è stato firmato dal presidente della Repubblica. Invano ieri la minoranza del Pd ha chiesto al governo di inserire subito la norma sul contratto unico a tutele crescenti nel Dl: i percorsi resteranno separati.
Intanto, nelle audizioni di ieri, il presidente dell’Isfol Pietro Antonio Varesi, ha evidenziato come l’incidenza dei contratti a tempo determinato sia passata dal 62,3% (secondo trimestre 2012) al 67,3% (quarto trimestre 2012): questo incremento ha riguardato in larga parte assunzioni di breve o brevissima durata (oltre sei contratti a termine su dieci durano meno di tre mesi), comunque inferiori ai 12 mesi. In contemporanea si registra una caduta dei contratti intermittenti (-4%) e di collaborazione (-1,6%), peraltro dotati di minori tutele. Male l’apprendistato: i nuovi contratti hanno registrato «un progressiva e quasi ininterrotta tendenza alla diminuzione». Il sole 24 Ore
Contratti a termine, si cambia Le proroghe scendono a sei Poletti: con troppi vincoli si rischiano licenziamenti
Il governo tende la mano alla minoranza del Pd ed è pronto a modificare, senza stravolgerlo, il decreto sui contratti a termine e l’apprendistato, all’esame della Camera per la conversione in legge. Per i contratti a termine dovrebbe scendere da otto a sei il numero delle possibili proroghe, cioè i rinnovi senza interruzione. Mentre sembra difficile la riduzione da tre a due anni per la durata massima di quelli più flessibili, cioè senza causale. Per l’apprendistato, invece, potrebbe tornare l’obbligo della formazione pubblica, con il coinvolgimento degli enti regionali. Delle possibili modifiche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha parlato ieri sera all’assemblea dei parlamentari del Pd.
Non è tutto quello che chiede l’ala sinistra del partito, che ha la maggioranza nella commissione Lavoro della Camera che sta esaminando il decreto e con il presidente Cesare Damiano parla di «necessari miglioramenti». Ma l’apertura è netta. «Non è un prendere o un lasciare – dice Poletti – il confronto è possibile. Ma se introduci dei vincoli sul numero dei rinnovi, arrivati alla scadenza del contratto l’azienda sostituisce il lavoratore».
Il secondo pezzo del Jobs act , il disegno di legge delega che prevede anche il contratto unico a tutele crescenti, ieri è stato firmato dal Capo dello Stato. È la grande riforma organica del settore, che però avrà tempi più lunghi, con il via libera del Parlamento sui principi generali e poi diverse norme attuative. Rispetto al testo uscito dal consiglio dei ministri venti giorni fa c’è una modifica importante: sui decreti attuativi che dovranno riscrivere le regole degli ammortizzatori sociali, proposti dal ministero del Lavoro, è previsto il concentro del ministero dell’Economia. Una «vigilanza» chiesta dalla Ragioneria dello Stato, visto che il nuovo assegno universale di disoccupazione richiederà lo stanziamento di nuovi fondi e si vogliono evitare fughe in avanti.
In vista delle prossime elezioni europee Confindustria ha presentato una lista di 10 priorità. Il presidente Giorgio Squinzi invita tutti i partiti a «selezionare candidature all’altezza, non in un’ottica di parcheggio», con l’obiettivo finale di «superare il dogma dell’austerità» e arrivare ad un patto europeo per l’industria, sul modello di quello già adottato per le politiche fiscali. Di imprese e crisi aveva parlato anche lo stesso ministro Poletti, a proposito dei lavoratori che occupano gli stabilimenti per poi mettersi in cooperativa e salvare la fabbrica. «Quando si trovano in una condizione del genere – aveva detto nello studio di 2Next , la trasmissione di Raidue condotta da Annalisa Bruchi, commentando due casi specifici – fanno bene a considerare anche questa come una delle opzioni possibili».
Lorenzo Salvia – Corriere della Sera – 3 aprile 2014