Le università offrono borse di studio alle ragazze che si iscrivono a ingegneria. Prevedono bonus se la ricercatrice diventa mamma. E alcuni atenei cercano con un ufficio per le pari opportunità di raddrizzare una bilancia troppo piegata da un lato. Eppure il gap rimane. Le donne nella scienza sono poche. Quelle nei posti che contano ancora meno.
Non mancano le eccezioni: Fabiola Gianotti a capo del Cern di Ginevra, Samantha Cristoforetti in orbita nello spazio due anni fa e Lucia Votano, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, nel 2009 prima donna a dirigere i Laboratori nazionali del Gran Sasso. «La mia nomina fece clamore » racconta. «Ancora oggi mi chiedo se sia stato positivo o no». Resta il fatto, come documenta il centro di ricerca Observa, che in Italia solo un terzo dei docenti e dei ricercatori universitari di materie scientifiche è donna (terzultimi davanti a Grecia e Malta). E nel mondo dell’informazione, ha calcolato il Global media monitoring project nel 2015, le notizie scientifiche vengono fatte commentare da uomini nell’82% dei casi. Per colmare questo squilibrio le giornaliste Luisella Seveso, Giovanna Pezzuoli e Monia Azzalini, hanno dato vita a 100esperte. it, una “risorsa di voci prestigiose e autorevoli” al femminile.
«Se sono stata mai discriminata in quanto donna? Non potrei citare neanche un episodio. Ma quando dovevamo costruire al Gran Sasso il rivelatore Opera, i responsabili di uno studio di ingegneria si rivolgevano ai miei colleghi maschi chiamandoli “professori” mentre io ero una “dottoressa” », ricorda Votano. Il quadro di un ambiente che in superficie si comporta in maniera irreprensibile, ma che nel suo inconscio conserva concrezioni antifemministe è quello che emerge dai racconti delle protagoniste della scienza italiana. «Neanch’io potrei citare episodi di discriminazione aperta» conferma Maria Pia Abbracchio, farmacologa dell’Università di Milano, fra le 100esperte. «Ma gli ostacoli rischiano di essere più subdoli. Spesso non arrivano dall’ambiente di lavoro, ma dalla famiglia stessa. Se la condivisione del lavoro fra i partner non è chiara, se le regole di quel che viene accettato socialmente stabiliscono che la scienza non è un mestiere per donne, ecco che le ricercatrici finiscono per farsi vincere dalla fatica».
Al programma Radio3scienza, la titolare della libreria per ragazzi Controvento di Benevento, Filomena Grimaldi, ha raccontato che i libri di scienza vengono spesso rimessi sugli scaffali, se il regalo è destinato a una bimba. E se davvero di lapsus si trattò, è rivelatrice la frase che nel 2005 l’allora rettore dell’università di Harvard Lawrence Summers pronunciò, citando le “innate” differenze fra il cervello maschile e femminile alle prese con la scienza.
Differenze non di cervello, ma di servizi sono alla base di una curiosa discriminazione capitata 30 anni fa a Elisabetta Erba, ora presidentessa della Società geologica italiana. A un colloquio per un lavoro su una piattaforma petrolifera si vide rifiutare il posto perché le docce erano aperte. «Ma è stato l’unico episodio in cui l’esser donna mi ha penalizzato ». La situazione negli ultimi decenni è migliorata. «Quando mi sono iscritta a fisica negli anni ‘70 le ragazze erano il 10-15%» racconta Votano. « Oggi hanno raggiunto la parità. Negli enti di ricerca siamo circa il 22%. Certo, man mano che si raggiungono le posizioni di vertice la presenza si assottiglia».
C’è una però una discriminazione che, in realtà, aiuta le ricercatrici. «All’inizio di una carriera scientifica – spiega Abbracchio – si guadagna poco e si fatica a ottenere un posto fisso. Che le donne diano un contributo solo secondario alle finanze della famiglia viene accettato più facilmente, rispetto a un uomo. E così nel mio laboratorio ho più ragazze che ragazzi». Se sia un fattore positivo, però, resta tutto da stabilire.
Repubblica – 6 febbraio 2017