Abuso d’ufficio per i direttori dell’azienda pubblica che esercitano l’azione disciplinare per ritorsione. La Corte di cassazione, con la sentenza 6665, accoglie il ricorso del Pubblico ministero contro la decisione del Gip di dichiarare il non luogo a procedere nei confronti del direttore generale e di quello dell’area tecnica dell’Azienda territoriale per l’edilizia pubblica. L’accusa era di aver “preso di mira” un ingegnere, bersagliandola con rilievi e sanzioni disciplinari, arrivando poi alla soluzione finale del licenziamento, sulla base di presupposti inesistenti.
Secondo il Gip l’abuso d’ufficio non poteva essere contestato perché i rapporti di lavoro con l’Agenzia territoriale sono regolati dal codice civile e dunque la contestata distorta o mancata applicazione delle norme che li disciplinano, non può essere considera una violazioni di legge o di regolamento idonea a far scattare il reato di abuso d’ufficio. Inoltre, per quanto riguardava il licenziamento senza preavviso, disposto come massima sanzione disciplinare, questo poteva essere attribuito al direttore generale, il solo che aveva messo la sua firma sul foglio di “espulsione”, mentre nessuna responsabilità andava addebitata al direttore di area, solo in virtù del suo potere di iniziativa nell’applicazione delle sanzioni.
La Cassazione accoglie il ricorso del Pm.
La Suprema corte chiarisce che la condotta contestata di abuso d’ufficio, contrariamente a quanto rilevato dal Gip, non riguarda la violazione delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro nell’ente pubblico, indubbiamente, di tipo privato, ma l’esercizio distorto della “funzione” disciplinare da parte di un pubblico ufficiale o dell’esercente un pubblico servizio. Un potere che certo rientra nell’area di gestione dei rapporti di lavoro sottoposto ai contratti collettivi e si esprime attraverso atti negoziali e non con provvedimenti amministrativi, ma che va comunque esercitato nel rispetto della legge, con eventuali integrazioni della contrattazione collettiva.
I giudici precisano che è suscettibile di integrare l’abuso d’ufficio (articolo 323 del Codice penale) la violazione delle disposizioni di legge fissate in materia di procedimento disciplinare, quando il potere non è “figlio” dell’interesse pubblico, ma viene usato per motivi pretestuosi sorretti da un intento ritorsivo.
E il Gip sbaglia anche quando proscioglie il direttore di area. Nel concorso di reato il contributo acquista rilevanza non solo quando ha efficacia causale e si pone come condizione dell’evento illecito ma anche quando agevola o rafforza un proposito criminoso già esistente.
Almeno in linea ipotetica, conclude la corte, il giudice per le indagini preliminari non poteva escludere che il l’imputata, a prescindere dalla mancata firma, possa comunque aver assicurato il suo contributo, morale e materiale, al prodursi dell’evento. Questo senza arrivare ad ipotizzare una responsabilità oggettiva in virtù della posizione apicale ricoperta. La Cassazione annulla la sentenza del Gip e rinvia per una nuova valutazione.
Patrizia Maciocchi – Il Sole 24 Ore – 19 febbraio 2016