Si comincia la prossima settimana, annuncia Elsa Fornero. La nuova sfida è la riforma del mercato del lavoro, questione spinosa ma inevitabile, dice il ministro del Welfare, soprattutto se si mette mano al capitolo pensioni: «Avendo modificato la previdenza, dobbiamo ora fare in modo che il mercato del lavoro sia inclusivo».
Perché la tenaglia tra allungamento dell’età lavorativa e precarietà, rischia di imballare l’intero sistema. Si tratta insomma di rendere più semplice assumere i dipendenti e di dare loro un paracadute in caso di licenziamento. Questo paracadute potrebbe essere il reddito minimo garantito «proposta che personalmente mi trova d’accordo». Fornero tiene a precisare che parla a titolo personale, così come quando non intende esprimersi sulla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che renderebbe più semplice licenziare. Ipotesi che forse i ministro non appoggerebbe personalmente ma che forse sarà costretta a includere nel pacchetto. Così come, a compensazione di una perdita di diritti dei dipendenti, nel pacchetto rientrerà probabilmente la riscrittura dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, che regola i diritti di rappresentanza dei sindacati in fabbrica. Un gioco di equilibri che finirà anche per coinvolgere l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali: «Dobbiamo fare presto», dice il ministro. E bisognerà stare attenti a non provocare strappi che rischierebbero di pesare molto sulle generazioni future. «Quel che dobbiamo cercare di ottenere — affermavano ieri gli esperti del ministero — è che anche introducendo il sistema contributivo, i giovani di oggi possano pensare di avere un giorno una pensione accettabile». Tra pochi mesi nel mondo del lavoro nulla potrebbe essere più come prima.
LA RIFORMA degli ammortizzatori sociali è ormai difficile da rinviare. Frutto di una stratificazione di strumenti nel corso dei decenni, gli ammortizzatori sono di quattro tipi: la cassa ordinaria, quella straordinaria, la cassa in deroga e la mobilità. E’ quello che i tecnici chiamano «un pianoforte» di possibili interventi per attutire gli effetti della perdita del lavoro, da quella temporanea (cassa ordinaria e, in parte, straordinaria) a quella definitiva (mobilità). «Il rischio — dice Fornero — è che il principale ammortizzatore sociale sia in realtà la pensione». Si va in pensione per ristrutturazione aziendale. La riforma dovrebbe prevedere un diverso sistema di ammortizzatori, che abbia anche gli stessi costi complessivi ma che sia più efficace e adeguato al nuovo mercato del lavoro. La riforma dovrà anche prevedere soluzioni ponte per chi ha cessato il lavoro fidando sul vecchio sistema come i molti che sono in mobilità verso la pensione.
L’ARTICOLO 18 dello Statuto dei lavoratori è quello che impedisce alle aziende di licenziare senza giusta causa. Una clausola nata per attutire la tendenza molto diffusa (e mai totalmente sopita) tra le imprese italiane a scegliersi i dipendenti in base alle loro opinioni politiche o sindacali. La norma è considerata un vincolo molto forte da parte delle imprese che hanno tentato in più occasioni, anche facendo promuovere referendum dai partiti politici, di abolirla. Ora è L’Unione Europea a chiedere all’Italia questo passo. Perché in questo modo si renderebbe più fluido il mercato del lavoro nel senso che non ci sarebbero più vincoli e il dipendente licenziato senza giusta causa potrebbe certamente ottenere indennizzi da parte del datore di lavoro ma non potrebbe chiedere il reintegro obbligatorio in organico. I sindacati hanno annunciato, anche recentemente, di essere fortemente contrari all’abolizione della norma.
SARÀ inevitabile modificare l’attuale giungla dei tipi di contratto di lavoro. Da quello più vincolante per le aziende, l’assunzione a tempo indeterminato, alle svariate forme di lavoro precario se non volatile. Il problema è che con l’entrata in vigore del sistema pensionistico contributivo (si otterrà in pensione quel che si è versato durante gli anni di lavoro) non sarà più possibile il lavoro in nero. Che diventerà una condanna perché ciascuno comincerà a costruire la sua pensione fin da primo giorno di assunzione e non negli ultimi anni come accadeva con il sistema retributivo. Sarà necessario prevedere un sistema di controlli molto rigido sulle aziende e un sistema di incentivi per i lavoratori. E cambiare lentamente la mentalità comune per cui un lavoro in nero favorisce chi lo accetta. E’ ipotizzabile che venga reso meno rigido il contratto a tempo indeterminato e che vengano abolite le forme di assunzione più volatili.
IL MINISTRO Fornero si è sempre detta personalmente favorevole al reddito minimo garantito. Si tratta di una forma di tutela della disoccupazione che si trova in molti paesi europei. Per molti anni i sindacati sono stati contrari in Italia temendo che accordare a chi perde il lavoro una forma di retribuzione finisca per deresponsabilizzare le aziende che avrebbero più facilità a licenziare. Oggi il quadro sta mutando. Soprattutto se verrà modificata la norma sui licenziamenti in Italia, rendendoli più facili, è chiaro che il reddito minimo diventa una soluzione quasi obbligata. A seconda dei paesi, l’erogazione di quella che è una sorta di indennità di disoccupazione dura per un periodo di tempo più meno limitato dopo la perdita del lavoro. «La questione del reddito minimo — ha detto ieri Fornero — è un problema di cittadinanza», come dire che il diritto a una soglia minima di sopravvivenza non può essere negato a nessuno.
L’ARTICOLO 19 dello Statuto dei lavoratori stabilisce le regole sulla rappresentanza in fabbrica. Modificato da un referendum a metà degli anni ’90, è oggi al centro dell’aspra battaglia tra la Fiom e la Fiat di Marchionne. Nella forma monca rimasta dopo il referendum l’articolo dice che possono avere delegati i sindacati che abbiano firmato con l’azienda accordi che si applicano nella fabbrica. E’ invece stata abolita dal referendum la parte che attribuiva il diritto alla rappresentanza anche ai sindacati maggiormente rappresentativi. Il risultato è che per avere delegati sindacali è obbligatorio mettersi d’accordo con l’azienda e firmare accordi. In caso contrario, anche se si rappresenta la maggioranza dei lavoratori, si è esclusi della fabbrica come accadrà alla Fiom in Fiat. Una stortura tanto più inaccettabile se si modificasse l’articolo 18 sulla libertà di licenziamento. La riforma potrebbe prevedere di legare il diritto di avere delegati alla quantità di iscritti.