Breaking news

Sei in:

L’intervista. Sacconi: «Ecco come cambieremo il lavoro»

«Più forza a part time e apprendistato Lavoro nel Sud con il credito d’imposta». Il ministro: le nostre proposte per la trattativa con le parti sociali

Ministro, ma era proprio necessario riaprire la questione dei licenziamenti?

«A luglio – risponde il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi – il Consiglio europeo ha raccomandato all’Italia di riformare la legislazione sui licenziamenti. La stessa raccomandazione è arrivata dalla Bce, dall’Ocse e dal Fondo monetario internazionale. Nei giorni scorsi Mario Draghi ha criticato il dualismo che affligge il nostro mercato del lavoro. L’Italia, al contrario di quanto alcuni hanno sostenuto, non è sotto osservazione per le pensioni, dove anzi il sistema è giudicato sostenibile, ma per il mercato del lavoro. Il nostro obiettivo, in ogni caso, non sono i licenziamenti facili, ma creare le condizioni per la crescita delle imprese e dell’occupazione».

Toccando l’articolo 18?

«Tutte le istituzioni ritengono che ci sia un rattrappimento delle imprese, soprattutto in tempi incerti, dovuto alla difficoltà di risolvere il rapporto di lavoro se le cose vanno male. Lo stesso nanismo delle nostre imprese ne sarebbe conseguenza. Basti pensare che il 54% dei lavoratori dipendenti sta in aziende sotto i 15 dipendenti dove appunto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non vale e si può licenziare indennizzando il lavoratore».

Ma per rispondere all’Ue non avevate già approvato l’articolo 8 della manovra di Ferragosto, che consente alle intese aziendali di derogare alle norme anche in materia di licenziamenti? Non basta?

«Hanno pesato negativamente, anche in Europa, le dichiarazioni di indisponibilità dei sindacati. A questo punto la commissione europea ci chiede chiarezza. Del resto questo problema è aperto da tempo. Dieci anni fa nel Patto per l’Italia convenimmo con tutte le parti, tranne la Cgil, di sperimentare la sospensione dell’articolo 18 nelle aziende che superavano con nuove assunzioni i 15 dipendenti, allo scopo di stimolare l’occupazione».

Poi non se n’è fatto nulla. Volete ripercorrere quella strada?

«Vedremo. In questi anni anche parlamentari dell’opposizione, come Pietro Ichino, Tiziano Treu o i Radicali, si sono posti il problema di una maggiore flessibilità in uscita. Un economista di sinistra come Paolo Sylos Labini, addirittura nel 1985, aveva scritto un articolo dal titolo: “Libertà di licenziare per salvare l’occupazione”. E nel 1998 il premio Nobel Franco Modigliani spiegava: “Quando le imprese non possono mandar via nessuno, non assumono, in particolare i giovani”».

Ma nella più grave crisi del dopoguerra che senso ha destabilizzare le certezze dei lavoratori?

«Al contrario, vogliamo dare più certezze, perché quando un’impresa si rattrappisce non c’è legge che possa garantire il posto di lavoro».

Quando aprirà la trattativa con le parti sociali?

«Presto, nei prossimi giorni, sul complesso delle politiche per il lavoro, dopo che avremo messo a punto una serie di proposte, in parte già esplicitate nella lettera all’Unione Europea. Non si tratta solo di rivedere le norme sui licenziamenti per motivi economici, ma anche di contrastare l’abuso dei contratti co.co.co. e dei tirocini, di promuovere il lavoro giovanile con l’apprendistato e quello femminile con i contratti di inserimento e part time, di aumentare l’occupazione nel Sud col credito d’imposta a valere sul Fondo sociale europeo».

Sui licenziamenti cosa proporrà?

«Dobbiamo verificare con le parti tutta la complessa e diversificata legislazione sui licenziamenti, compresi quelli collettivi per motivi economici, che potrebbero essere semplificati».

Semplificare, significa fare a meno dell’accordo con i sindacati per i licenziamenti collettivi?

«Il contrario. Vogliamo favorire gli accordi tra le parti».

E sui licenziamenti individuali?

«Quelli discriminatori dovranno comunque restare nulli. Quelli per motivi economici vanno resi più trasparenti e certi nelle modalità e nelle tutele per il lavoratore».

Che però non avrebbe più il diritto al reintegro (articolo 18), ma solo un indennizzo?

«Non abbiamo ancora definito specifiche soluzioni. In ogni caso vogliamo tutelare il lavoratore soprattutto quando si consuma un posto di lavoro e non c’è articolo 18 che glielo possa ridare».

Qui dovrebbero scattare gli ammortizzatori sociali, che all’estero sono più estesi.

«Non è vero. Italia e Germania, dice l’Ocse, sono i Paesi che hanno meglio protetto i lavoratori nella crisi».

L’Italia con la soluzione tampone della cassa integrazione in deroga. Manca una riforma strutturale.

«Vogliamo continuare a proteggere tutto il mondo del lavoro e insieme ipotizzare un percorso di allargamento dell’assicurazione obbligatoria ai settori che oggi ne sono esclusi. E soprattutto collegare gli ammortizzatori con migliori attività di formazione e di assistenza ai disoccupati nella ricerca di un altro lavoro da parte delle Regioni che ne hanno competenza».

Che ne pensa della proposta di legge dei radicali di aumentare da 15 a 30 dipendenti la soglia oltre la quale applicare l’articolo 18?

«È degna di essere considerata con attenzione. Siamo aperti ai contributi dell’opposizione».

I sindacati minacciano scioperi.

«Sarebbe assurdo se a 10 anni dal Patto per l’Italia e dalla morte di Marco Biagi dovessimo registrare lo stesso clima esasperato e non invece la possibilità di un confronto sereno. Cisl, Uil e Ugl invocano giustamente un tavolo di confronto sul lavoro. E noi lo vogliamo aprire quanto prima».

Corriere.it – 29 ottobre 2011

site created by electrisheeps.com - web design & web marketing

Back to Top