Roberto Giovannini. Era un bel po’ di tempo che l’Istat dava soltanto brutte notizie al premier Matteo Renzi. Ieri l’istituto di statistica si è un po’ fatto perdonare, rivedendo al rialzo (non di moltissimo) le stime di crescita del Pil. I numeri dicono dunque che la recessione sembra finalmente finita; ma certificano anche che anche se quest’anno il Pil crescerà dello 0,7%, la disoccupazione resterà tragicamente inchiodata a livelli elevatissimi.
Per l’Istat il 2015 potrebbe essere davvero l’anno in cui si «gira l’angolo». Grazie al «Quantitative easing», al deprezzamento dell’euro, all’aumento delle esportazioni, al calo dei prezzi energetici e alla graduale ripresa della domanda interna l’economia italiana potrà lasciarsi alle spalle tre anni di recessione. Nel 2015 dunque il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7%, contro il +0,5% stimato a novembre scorso e dopo il -0,4% registrato nel 2014. La crescita si manifesterà soprattutto nella seconda parte dell’anno, e accelererà un pochino nel biennio successivo, mettendo a segno un +1,2% nel 2016 e un +1,3% nel 2017. «Le prospettive di breve termine – dice l’Istat – indicano una ripresa dei ritmi produttivi, legata sia all’impulso favorevole delle componenti esogene, come l’evoluzione positiva del ciclo internazionale e il deprezzamento dell’euro, sia alla ripresa della domanda interna, sostenuta dai bassi prezzi dell’energia e dall’atteso miglioramento del credito».
I consumi interni confermeranno l’andamento positivo già evidenziato nel 2014, acquistando via via vigore. Una netta sterzata arriverà invece, secondo le previsioni, sul fronte degli investimenti, dopo il crollo degli ultimi anni. 2013 e 2014 sono stati infatti anni neri, dovuti anche alla crisi del credito. Il cambiamento di rotta nella concessione di prestiti bancari dovrebbe quindi favorire anche la ripresa degli investimenti che dovrebbero segnare un +1,2%, dopo il -3,3% dello scorso anno.
A migliorare dovrebbe essere anche il mercato del lavoro, seppur con il freno a mano tirato. Secondo l’Istat, nel 2015 si registrerà infatti «una moderata riduzione» del tasso di disoccupazione che scenderà al 12,5% dal 12,7% del 2014, per passare poi al 12% nel 2016. L’occupazione dovrebbe aumentare invece in termini di unità di lavoro dello 0,6% quest’anno e dello 0,9% l’anno prossimo, accompagnandosi a una riduzione del ricorso alla cassa integrazione.
I segnali di risveglio dell’economia italiana comunque non bastano per stappare lo champagne. Fragile com’è, secondo Confesercenti, la ripresa «potrebbe essere spazzata via se dovessero scattare i maxi-aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia». Confcommercio teme la «grande incertezza» che grava sui consumi. «Dobbiamo allungare il passo ora per sostenere i segnali di ripresa ancora gracili», dice Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. Più scettici i sindacalisti: «Con un tasso di disoccupazione superiore al 12% sarei molto prudente a parlare di fine della recessione», dice Susanna Camusso. «Questa ripresa, io che giro l’Italia, proprio non la vedo. Si vede che non ho gli occhiali a 3D del governo», attacca il leader Uil Carmelo Barbagallo. «La crisi sarà finita solo quando arriveranno segnali sostanziali sull’occupazione», conclude Anna Maria Furlan.
La Stampa – 8 maggio 2015