Marco Zatterin. Chiusa la stagione delle quote europee con la coda giudiziaria sulle multe per i limiti sforati allegramente da un piccolo numero di allevatori, l’Italia apre un nuovo fronte nella guerra del latte. Stavolta combatte per la trasparenza delle informazioni in etichetta e la protezione del consumatore dalle frodi, chiedendo all’Unione europea di rende obbligatoria anche l’indicazione dell’origine sulle confezioni di «oro bianco».
Ora che il mercato è liberalizzato, il governo vorrebbe valorizzare il prodotto nazionale con l’indicazione del «made in». Ma non tutti gli stati sono d’accordo e la Commissione, attesa col punto sul caso, è in ritardo sulla tabella di marcia.
Impresa ardua, senza dubbio. Un regolamento Ue del 2011 prevede l’indicazione obbligatoria del Paese di origine di un alimento, o del luogo di provenienza nei casi in cui la ragione geografica possa generare confusione nel consumatore. Si deve inoltre evidenziare il passaporto della materia prima qualora sia differente da quella del prodotto finito. È una previsione giudicata innovativa, ma per Roma non è sufficiente.
Per latte e altri cibi, il regolamento non impone gli stessi obblighi. Prescrive però che la Commissione presenti all’Europarlamento e al Consiglio delle relazioni sulla applicabilità e sulla opportunità di una indicazione obbligatoria. Due studi esterni erano attesi alla ministeriale agricola di lunedì e non si sono visti. Rinviati a maggio, con qualche disappunto fra i fautori del provvedimento.
L’Italia spinge, con altri otto paesi fra cui Regno Unito, Spagna e Polonia. Tacciono i grandi esportatori, i nordici, la Germania e la Francia, il che è sospetto. Dice il sottosegretario Castiglione che accendere la luce sull’origine dei prodotti «darebbe un segnale molto importante alle imprese che si accingono ad affrontare un mercato del latte oramai liberalizzato e ai consumatori che hanno espresso fortemente più volte la necessità di assoluta trasparenza sull’origine di questo prodotto». Un recente sondaggio del ministero dell’Agricoltura ha rilevato che il 95% degli italiani vuole conoscere sempre l’origine delle materie, prime in particolare su carni e latte fresco.
Sul mercato la situazione può confondere. Secondo Coldiretti, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle nascono con materia prima non nazionale. Ecco il bisogno dell’etichetta. Per trasparenza e rispetto di chi consuma. Anche perché, sia chiaro, non è detto che il latte straniero sia poi peggiore del nostro.?
La Stampa – 22 aprile 2015