Lo scandalo dell’orsa reclusa da tre anni. Trento, catturata nel 2011 e portata in un recinto col filo elettrico. La Provincia: “Era un pericolo”. La Lav: “Gravissimo”
C’è un’orsa segregata, in Trentino. Rinchiusa in un recinto da tre anni e condannata a viverci fino alla morte. La sua prigione è un terreno di tremila metri quadrati di proprietà della Provincia di Trento, diviso in due gabbie di ferro con un filo elettrificato. È qui che i plantigradi considerati «problematici» e «irrecuperabili » vengono rinchiusi dagli agenti del corpo provinciale dell’ufficio foreste e fauna.
Ed è qui che vive dal maggio del 2011 l’orsa DJ3, che nel suo nome in codice (stabilito dal protocollo del progetto di ripopolamento degli orsi Life Ursus) porta il segno di riconoscimento di sua madre: Daniza, l’orsa rimasta uccisa un mese e mezzo fa, qui in Trentino, durante la cattura. In questo stesso recinto, all’interno del centro forestale di Casteller, a Trento, sarebbe dovuta finire anche Daniza, se l’ultimo tentativo di catturarla fosse andata a buon fine. Invece, la dose eccessiva di narcotico utilizzata dagli agenti provinciali l’ha uccisa. Quando questo accadeva, DJ3 viveva reclusa già da tre anni. E neanche gli animalisti lo sapevano.
Se i due cuccioli che Daniza aveva con sé il giorno della morte ora sono soli e a forte rischio tra le montagne del Trentino, seppure monitorati dalla Provincia due volte al giorno con tanto di immagini sul sito dell’ente, la sorte della figlia più grande, DJ3, è già segnata, nel silenzio generale. Dalla gabbia in cui è stata rinchiusa nel maggio del 2011 non uscirà più. «Fu deciso di catturarla dopo quindici tentativi di rieducazione » spiega Maurizio Zanin, dirigente dell’ufficio foreste e fauna della Provincia di Trento. «La trovammo più volte nel centro abitato. Razziava gli allevamenti, era un serio rischio per la popolazione. Fu presa in Val Algone, nelle Giudicarie. Fu applicato un provvedimento urgente che ordinava la rimozione dell’esemplare, pericoloso per l’incolumità e la sicurezza pubblica».
DJ3 rimarrà qui fino alla sua morte, conferma Zanin: «Non ci sono le condizioni per liberarla. È troppo pericolosa. Dobbiamo tutelare il progetto e la salvaguardia della popolazione è un passaggio fondamentale e non eludibile». Un ergastolo che potrebbe durare altri trent’anni, visto che l’esemplare ne ha dieci e l’aspettativa di vita è di quaranta. «Per noi è un intervento estremo: nella gran parte dei casi problematici, tentiamo la strada della rieducazione, ma stavolta non era possibile».
L’orsa reclusa mangia una volta al giorno, quasi sempre frutta. «Quando poi troviamo nei boschi della selvaggina lasciata dai cacciatori, gliela portiamo». Suo padre è Jose, uno dei primi orsi prelevati in Slovenia e trasferiti in Trentino per dare il via a un progetto europeo finanziato con quattro milioni di euro di fondi pubblici, poi gestito dalla Provincia di Trento. «È nostro dovere tenere insieme la corretta gestione del progetto con le necessità del territorio» aggiunge Zanin «I cinquanta orsi che girano per le Dolomiti entrano spesso in contatto con la popolazione. Se gli animali compiono razzie in aperta montagna, tocca agli allevatori comprendere che non si può far altro che conviverci, e noi non assicuriamo risarcimenti e indennizzi. Ma quando i plantigradi minacciano i centri abitati, siamo costretti a intervenire duramente ».
«Devono liberare quell’orso, subito» tuona Gianluca Felicetti, presidente nazionale della Lav, interpellato da Repubblica. «È assurdo tenerlo recluso, significa maltrattare un animale protetto, tutelato da norme europee. Rappresenta il tradimento del progetto che hanno sottoscritto ». E aggiunge «Abbiamo chiesto più volte di entrare in quel centro per vedere quanti animali ci sono e come vengano trattati. Ma nonostante le tante richieste inviate al presidente della Provincia, Ugo Rossi, non siamo mai stati autorizzati. Ora chiediamo che sia una commissione di esperti a valutare le condizioni di salute di Dj3 e il suo immediato reinserimento in natura. Non hanno certo chiesto a questi orsi di venire a ripopolare il Trentino. Possono sempre portarli altrove».
Repubblica – 20 ottobre 2014