Vero che c’è la crisi greca. La quale costringe l’Europa all’introspezione, a cercare di risolvere i guai di casa. Ma è almeno altrettanto vero che l’Unione europea ha un bisogno vitale di alzare lo sguardo, di fare i conti con un mondo che non solo è globalizzato ma è finito in un immenso disordine. Non lo sta però facendo.
Quello che sta avvenendo sul Ttip — la Partnership transatlantica su commercio e investimenti in discussione tra Ue e Stati Uniti — è estremamente preoccupante: a causa delle indecisioni dell’Unione europea, i negoziati rischiano di fallire. Se accadesse, il passo decisivo verso il favoleggiato mercato unico tra Europa e America sarebbe rinviato di anni, forse decenni. E per responsabilità prima di questa sponda dell’Atlantico.
Sabato si sono tenute un po’ in tutto il mondo manifestazioni contro ogni genere di libero scambio: in Europa soprattutto contro il Ttip. Molti cortei, partecipazione così così. È che, soprattutto in alcuni Paesi come Germania, Austria, Francia, la prospettiva di un mercato comune con gli Stati Uniti — e in prospettiva con altri, perché la Partnership sarebbe aperta — solleva opposizioni, in gran parte ideologiche. Antiamericane. Nei contenuti, i negoziati Ttip non comportano alcuno dei rischi che vengono sollevati da chi si oppone: non alla sicurezza alimentare e alla salute, nemmeno per sogno ai diritti dei lavoratori, non al modello culturale europeo e via dicendo. In compenso, la Partnership darebbe grandi vantaggi a quelle aziende medie e piccole che oggi faticano a esportare o ad avere una base negli Stati Uniti. Cioè a quelle imprese che sono la spina dorsale dell’economia e dell’occupazione. Secondo alcune analisi, l’Italia sarebbe forse il maggiore beneficiario del Ttip.
Il guaio è che in Europa i governi e i partiti non hanno il coraggio di essere chiari su questo che è un dossier la cui importanza va molto al di là della valenza economica. Oggi, a New York, riprendono le discussioni, il nono round che andrà avanti fino al 24 aprile, ma non ci si aspettano balzi in avanti significativi: l’Europa non si muove. Per esempio, Angela Merkel continua a dire di essere favorevole. In concreto, il suo alleato di governo, la Spd, frena e il ministro dell’Economia (e vice-cancelliere) Sigmar Gabriel pone distinguo che bloccano ogni possibilità di leadership della Germania. Altro esempio. La settimana scorsa, il commissario europeo al Commercio, Cecilia Malmström, si è incontrata a Parigi con i parlamentari francesi: ha provato a convincerli ma ha incontrato un muro di distinguo e di opposizioni pregiudiziali. Ancora: Matteo Renzi ha parlato di Ttip con Barack Obama e pare gli abbia avanzato proposte concrete; ciò nonostante, l’interesse dei partiti italiani è vicino allo zero.
Ora, la situazione è la seguente. Se i negoziatori europei, che hanno avuto un mandato dai governi della Ue, troveranno un accordo con quelli americani, il Parlamento europeo dovrà votare il pacchetto. È già molto annacquato rispetto alle ambizioni di partenza, ciò nonostante ci sono buone probabilità che venga respinto: ago della bilancia è il gruppo europeo dei socialisti e democratici, spaccato al proprio interno (con gli italiani in genere a favore). Se il Parlamento Ue vota contro, il Ttip è morto. Non solo. L’eventuale accordo dovrà essere anche approvato dai parlamenti dei 28 Paesi della Ue: se uno solo lo respingesse — quello greco altamente contrario, per dire — si aprirebbe una crisi e tutto probabilmente salterebbe.
Se così dovesse andare, non tramonterebbe solo l’obiettivo di stabilire regole aperte, certe e democratiche per il Commercio, che altri dovrebbero poi seguire. Sarebbe anche una sconfitta per quella parte del mondo che grazie agli scambi ha prosperato e grazie al rispetto delle regole, anche commerciali, ha vissuto decenni di pace. I Vladimir Putin potrebbero dire che gli occidentali non riescono nemmeno ad accordarsi tra loro. Leadership cercasi.
Danilo Taino – 20 aprile 2015 – Il Corriere della Sera