L’opinione. La paralisi che l’Italia non può permettersi
di Stefano Folli. La fine politica di Silvio Berlusconi non è affare di ordinaria amministrazione. Niente di paragonabile al passaggio da Kohl alla Merkel in Germania o dalla Thatcher a Major nell’Inghilterra degli anni novanta.
Berlusconi non è solo un politico di lungo corso che resiste sulla poltrona. E il personaggio che nel bene e nel male ha segnato un’epoca. Di più: è la figura dominante degli ultimi diciotto anni, leader ma di fatto proprietario, anche in senso patrimoniale, del centrodestra italiano. Ora è all’epilogo, ma non c’è da stupirsi che il suo tramonto equivalga a uno psicodramma. O che sia così difficile, nella crisi, intravedere una soluzione parlamentare che non passi attraverso le elezioni anticipate. Elezioni da augurarsi il prima possibile, se il rebus resterà tale anche nei prossimi decisivi giorni. Allo stato delle cose, ci sarebbe solo un modo per uscire dal vicolo cieco. Tutte le grandi forze politiche, di centrodestra come di centrosinistra, dovrebbero avere un colpo d’ala in nome di una comune visione dell’Europa. Che significa, in primo luogo, rispettare l’agenda che la stessa Europa ci ha dato. Un colpo d’ala capace di escludere gli interessi di parte, così da deporre le armi nelle mani del presidente della Repubblica, rimettendosi senza riserve mentali alle sue decisioni e garantendo in via preliminare l’appoggio in Parlamento a un esecutivo di buona volontà. Quante probabilità ci sono che una simile svolta si verifichi nelle prossime ore? Meglio non farsi illusioni: le probabilità sono esigue. E il primo a rendersene conto deve essere Giorgio Napoletano, se ancora ieri ha avvertito il bisogno di denunciare “il clima di guerra” che si respira nel Paese. In teoria il presidente del Consiglio potrebbe ancora sbloccare la paralisi se nelle prossime ore mettesse in pratica quel gesto di generosità unilaterale che tanti gli hanno suggerito nelle ultime settimane, in Italia e all’estero (talvolta con toni ruvidi e ultimativi abbastanza imbarazzanti, come nel caso del Financial Times). Potrebbe annunciare le misure concrete per l’Europa (la legge di stabilità e non solo: riforma delle pensioni e del lavoro e così via) chiedendo il voto delle Camere. E, magari, mettendo sul tavolo le dimissioni, in modo da autorizzare il Pdl a cercare un nuovo equilibrio e il governo, guidato da un altro esponente del centrodestra (Letta, Alfano, Schifani), potrebbe tentare l’allargamento della maggioranza all’Udc, in un’atmosfera meno avvelenata. Ma anche qui è bene non credere alle favole. Berlusconi non ha interesse a uscire di scena in modo indolore. Un po’ per temperamento e un po’ per calcolo, tenterà fino alla fine di restare in sella. Sforzandosi di far capire ai parlamentari che lo stanno abbandonando un concetto semplice “Dopo di me il diluvio”. Ossia, dopo Berlusconi ci sono solo le elezioni.
È vero, è falso? Diciamo che ogni giorno che passa, l’ipotesi di una legislatura che continua con una guida diversa da Berlusconi perde consistenza.Sarebbe stata plausibile qualche mese fa: magari l’estate scorsa, nei giorni in cui veniva recapitata la lettera della Bce. Oggi il passaggio di mano all’interno del centrodestra sembra fuori tempo massimo. E peraltro il diretto interessato, Berlusconi, non lo sta affatto accreditando. Il presidente del Consiglio tenterà nei prossimi giorni l’ultimo arroccamento, prima sul rendiconto generale dello Stato, poi sulla legge di stabilità (Senato e Camera). Ovviamente l’esecutivo è appeso a un filo e comunque non avrebbe i numeri per la normale navigazione parlamentare. Eppure il premier giocherà le sue carte fino in fondo. L’argomento che si sente nel Pdl (“attenti, di questo passo rischiamo una terribile sconfitta elettorale”) non lo suggestiona Dopo quasi diciotto anni di monarchia assoluta, gli viene spontaneo replicare seguitemi e la legislatura non sarà interrotta; votatemi contro e insieme al mio governo cadranno anche le vostre speranze di essere rieletti. Perché andremo al voto e sarò ancora una volta io a preparare le liste elettorali. Come si vede, il paradosso è completo. Da un lato c’è una maggioranza che si scioglie, ma che ha ancora la forza di combattere in Parlamento. Dall’altra parte non c’è un’alternativa pronta, con numeri saldi e coerenza d’intenti. In fondo tutti si preparano alle elezioni, anche senza dirlo. Casini e Fini chiedono un governo senza Berlusconi, ma in realtà guardano alle urne. Dove sperano di beneficiare del collasso del centrodestra e anche di trarre vantaggio da quella perdita di credibilità berlusconiana sulla scena internazionale che dovrebbe incoraggiare una forza moderata, legata al partito popolare europeo e capace di offri-re un volto diverso dell’Italia Allo stesso modo anche il Pd sta indossando il vestito elettorale. È il solo modo per tenere insieme quell’alleanza con Di Pietro e Vendo-la a cui Bersani ha dedicato in questi mesi molte energie. Ieri, nella corni-cedi Piazza San Giovanni stracolma di folla, il segretario ha fatto un discorso dai toni europeisti (con citazioni di Spinelli, De Gasperi e Romano Prodi), ma dall’evidente accento elettorale. L’attacco alle destre europee non lascia dubbi, benché Bersani abbia lasciato un vago spiraglio al governo tecnico, ossia a un’intesa di alto profilo che in questi termini sarebbe inaccettabile per il Pdl E infatti Alfano propone, di rimando, un mero allargamento della maggioranza con Berlusconi a Palazzo Chigi.
Quindi nessun colpo d’ala, nessuna convergenza e una spinta inesorabile verso il voto. È giusto, in un certo senso, anche se forse non è quello che servirebbe all’Italia in questo momento. Ma un personaggio come Berlusconi non lo si supera con opzioni di piccolo cabotaggio. Ci vorrà – se sarà sufficiente – uno scontro nelle urne a viso aperto. Dopo si potrà tentare di costruire una maggioranza per l’Europa. Senza steccati ideologici.
Sole 24 Ore di domenica 6 novembre 2011