Dare la possibilità anche al datore di lavoro, in caso di condanna alla reintegrazione, di optare per una sanzione economica congrua. Già oggi nei principali paesi europei, Francia, Spagna e Germania, in cui vige la tutela reale, l’impresa «può sostituirla con un adeguato indennizzo».
Lo schema di Dlgs con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti è arrivato ieri in Parlamento (assieme al provvedimento gemello sugli ammortizzatori sociali); e il relatore, presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap), ha chiesto un segnale di svolta: «Diversamente il cosiddetto tabù dell’articolo 18 rimarrebbe operoso nella nostra, e solo nella nostra, regolazione». Le disposizioni varate dal Governo «rappresentano un indubbio miglioramento. Ma circoscritto ai nuovi assunti e ragionevolmente apprezzabile nel medio-lungo periodo, man mano che si determina la relativa giurisprudenza – ha spiegat o Sacconi – . Manca, invece, quel segnale netto garantito dalla certezza, per quanto onerosa, di una sempre possibile risoluzione del rapporto di lavoro».
Il punto in discussione è il mantenimento del reintegro, nei licenziamenti disciplinari, che, nello schema di Dlgs, scatta solo nel caso in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. Un passo avanti rispetto all’attuale normativa perché fa venir meno ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento ed elimina il richiamo alle “tipizzazioni” contenute nei codici disciplinari dei contratti collettivi. Ma la regolazione qui ipotizzata, ha sottolineato Sacconi, finirà per consegnare «al giudice del lavoro una ampia possibilità di qualificazione dei fatti dedotti in giudizio», e quindi non si supererà «l’anomalia italiana rappresentata dalla indissolubilità del rapporto di lavoro nel caso di motivi disciplinari». Di qui, la richiesta di introdurre l’opting out (che vige già per il lavoratore). «E non ci sarebbe nessun eccesso di delega in quanto tale obiezione condurrebbe simmetricamente ad escluderla anche per il lavoratore».
Sacconi ha evidenziato, inoltre, come le nuove regole «debbano ritenersi applicabili anche ai dipendenti del pubblico impiego, con le sole eccezioni riferibili alle procedure concorsuali di accesso e alle c osi ddette c a r r i er e d’ordine» (cioè magistrature, polizia, forze armate, carriere diplomatica e prefettizia); e ha chiesto pure l’esplicita estensione a tutti i rapporti a termine che, ancorchè precedenti, vengano convertiti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del Dlgs.
«È inoltre auspicabile – ha proseguito Sacconi – prevedere esplicitamente che venga trattato come difetto di giustificato motivo oggettivo l’ipotesi di licenziamento per esito negativo della prova, nel caso in cui il periodo di prova risulti già scaduto, o il relativo patto invalido per qualsiasi motivo».
I lavori in sede referente al Senato «viaggeranno spediti», ha detto la capogruppo Pd, Annamaria Parente, che è relatrice del Dlgs sui nuovi ammortizzatori sociali. Qui, ha detto Parente, «riteniamo necessario che la Naspi duri 24 mesi anche nel 2017 e che l’Asdi, per i disoccupati più bisognosi, che hanno esaurito la Naspi, diventi uno strumento strutturale, dopo la prevista fase di sperimentazione».
Quanto alla Camera, l’inizio dell’esame dei due Dlgs è calendarizzato per lunedì. «Faremo un attento monitoraggio sui testi al fine di un loro miglioramento», ha detto il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, Cesare Damiano.
Il Sole 24 Ore- 16 gennaio 2015