Lorenza Castagneri. È un paradosso. Avere più farmaci a disposizione dovrebbe essere una garanzia in più quando ci ammaliamo, ma, se dei medicinali si abusa o si fa un uso scorretto e non si cerca di prevenire con altre azioni la diffusione dei contagi, i problemi aumentano. Oggi, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, una delle maggiori minacce alla salute collettiva è rappresentata dall’antibiotico-resistenza, vale a dire la capacità dei batteri di resistere alle cure antibiotiche dovuta a mutazioni genetiche o per l’acquisizione, da altri organismi, di germi resistenti. Si stima che, già nel 2050, questa potrebbe essere la causa di 10 milioni di morti all’anno nel mondo. Più del cancro. È un fenomeno che non si sviluppa solo negli individui, ma anche negli animali, ai quali viene somministrata, da tempo, una grande quantità di antibiotici.
Un’infezione provocata da batteri resistenti su cinque arriva alle persone proprio attraverso carne, latte, uova e formaggi derivati o per via del contatto diretto con gli animali. In Italia la situazione è tutt’altro che rosea, se si considera che siamo il terzo Paese europeo per consumo di antibiotici in ambito zootecnico. «Dobbiamo senz’altro migliorare, ma l’attenzione a livello globale e locale c’è», racconta, con un vena d’ottimismo, Bartolomeo Biolatti, docente dell’Università di Torino e presidente della Società italiana delle scienze veterinarie: è lui l’autore di un rapporto per Coop sull’antibiotico-resistenza (con la collega Tiziana Cannizzo e la collaborazione di specialisti di numerosi atenei e centri di ricerca), dato che proprio Coop con la campagna «Alleviamo la salute» vuole contribuire a ridurre l’utilizzo dei farmaci negli animali.
La catena di supermercati ha infatti deciso di imporre ai suoi 1600 allevatori un rigido elenco di buone pratiche per favorire il benessere degli animali, contenere l’impiego di antibiotici e allo stesso tempo abbassare i rischi per i consumatori e l’ambiente. «È il primo passo», riprende Biolatti, citando anche il caso della Danish Crown, gruppo danese che ha creato una filiera di suini in cui l’uso di questi medicinali è bandito. «Come riuscirci? Per esempio, attuando strategie preventive perché gli animali non si ammalino, come la selezione di linee genetiche resistenti alle malattie, piani vaccinali, un’alimentazione ricca di probiotici e prebiotici, stalle non sovraffollate e ambienti aerati in modo da evitare l’accumulo di gas tossici».
Non c’è una specie che si salvi. La resistenza dei batteri agli antibiotici può interessare tutti gli animali cosiddetti «da reddito»: galline, polli, conigli, suini, bovini e non solo. Accade, per esempio, quando l’allevatore fa un uso eccessivo di farmaci per prevenire infezioni quali gastroenteriti e polmoniti, che potrebbero diffondersi da un capo all’altro, impedendogli di vendere i suoi prodotti. Così si riesce a uccidere gran parte dei batteri e a bloccare il contagio di massa, ma i microrganismi resistenti sopravvivono: aumentando le loro difese, diventano invincibili.
Nell’uomo questi possono provocare infezioni a decorso moderato o anche malattie gravi e potenzialmente mortali. Già adesso, ogni anno, la resistenza agli antibiotici associata all’uso scorretto di questi medicinali è responsabile nel mondo di oltre 700 mila decessi, 25 mila nella sola Ue. Mettere in atto le giuste contromisure è, perciò, una delle priorità delle organizzazioni internazionali, sia politiche sia scientifiche. «L’Europa ha già avviato due piani d’azione – rivela Biolatti -. Uno è stato attuato tra 2011 e 2016 e un altro è partito quest’anno. I programmi impegnano tutti gli attori della filiera – veterinari, allevatori, istituzioni, autorità di controllo, operatori del settore alimentare – a promuovere l’uso corretto degli antibiotici, i quali vanno impiegati solo per curare le malattie di origine batterica e non virale come i raffreddori, a meno che non si verifichino complicazioni come bronchiti o polmoniti».
Ne va della salute umana e anche animale, oltre che dell’ambiente, perché diminuire l’uso di medicinali significa che in natura si disperderanno meno inquinanti. Ma ne va pure dei bilanci dei servizi sanitari nazionali. Alcuni studi stimano che, se davvero nel 2050 ci saranno 10 milioni di morti per antibiotico-resistenza, i costi per fronteggiare il fenomeno saranno enormi: sull’ordine di diversi trilioni di dollari ogni anno. Numeri enormi.
Per questo motivo considerazioni analoghe all’antibiotico-resistenza negli animali vengono fatte per l’antibiotico-resistenza nelle persone, sempre più diffusa. Il ministero della Salute ha appena inviato alle Regioni un «Piano di contrasto» che prevede, entro il 2020, la riduzione dell’uso di antibiotici fino al 10% in ambito territoriale e del 5% in ospedale, oltre che un taglio superiore al 30% nel settore veterinario. Il progetto nasce perché in Italia la resistenza agli antibiotici si mantiene tra le più elevate d’Europa. I problemi maggiori sono provocati da due microrganismi: l’Enterococcus faecium, che può provocare infezioni del tratto urinario, setticemie, endocarditi, diverticoliti e meningiti, e la Klebsiella pneumoniae, responsabile delle polmoniti.
La Stampa – 27 settembre 2017