L’appuntamento è per i primi giorni di settembre. Tra un paio di settimane o poco più quasi tutti i ministri saranno costretti a scoprire le carte e a indicare al premier Giuseppe Conte e, soprattutto, al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, oltre alle specifiche richieste di risorse le voci e i capitoli dei propri budget su cui far scattare la nuova fase di spending review facendo leva sia su veri e propri tagli sia su rimodulazione di fondi. I “compiti” sono stati assegnati ai responsabili dei dicasteri dallo stesso titolare del Mef prima della pausa estiva seguendo una procedura sostanzialmente obbligata anche alla luce della sfasatura della tabella di marcia fissata dalla riforma del bilancio dello Stato in vigore dallo scorso anno per rendere permanente e vincolante il processo di revisione della spesa. Cifre fin qui non ne sono state fatte. Ma secondo alcuni tecnici dell’esecutivo la nuova spending dovrà garantire alla prossima manovra almeno un quarto delle risorse che dovranno essere individuate autonomamente dal nuovo Governo (al momento, secondo le prime ipotesi, 12-13 miliardi da aggiungere a una fetta più o meno analoga sotto forma di flessibilità da ottenere dalla Ue rallentando il percorso di riduzione del deficit strutturale).
Quindi, dalla revisione e dalla ricalibratura della spesa dovrebbero arrivare non meno di 3-4 miliardi, ai quali se ne dovrebbero aggiungere circa 3 in versione una tantum dalla pace fiscale e almeno 5 dalla potatura delle tax expenditures. Il tutto al netto dell’esito della partita con Bruxelles sui nuovo spazi di “extra-deficit” e in attesa di capire quanto peserà sulla prossima legge di bilancio la variabile “spread”. La “dote-tagli” dovrebbe essere recuperata attraverso interventi su tutte le amministrazioni centrali, ma non sugli enti locali, e guardando con attenzione il perimetro di spesa degli acquisti Pa. In ogni caso Tria ha fatto chiaramente capire a più riprese che punta a ridurre il peso delle uscite correnti sul bilancio pubblico, escludendo però dalla nuova fase di spending review sanità, istruzione e ricerca.
Resta da capire come sarà gestito il flusso di risorse necessarie per alimentare il piano di messa in sicurezza di infrastrutture, invasi e forse anche scuole, annunciato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e di fatto confermato dal premier Conte. Tria considera prioritario un piano da varare a settembre per rendere spendibili i 150 miliardi per opere infrastrutturali già stanziati per 15 anni nel bilancio dello stato (118 miliardi sulla carta subito spendibili). Ma nel Governo cresce il fronte di chi spinge per mettere in campo anche nuove risorse per le infrastrutture sostenendo che le spese per la sicurezza del Paese non possono essere sottoposte ai vincoli Ue. Non solo: il piano infrastrutture potrebbe dare una spinta al Pil (con un andamento in calo rispetto alle previsioni del Def di aprile targato Gentiloni-Padoan) alleggerendo di conseguenza il rapporto con il deficit. Di qui l’ipotesi di una strategia della “doppia” flessibilità (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) eventualmente funzionale ad allargare gli spazi oggetto del negoziato con Bruxelles, magari ricorrendo al meccanismo delle “circostanze eccezionali”.
Di variabili da calcolare, spread compreso, ne restano ancora molte. Non a caso Giorgetti lunedì ha detto che sulla manovra ci sono diversi scenari. Ma il tempo stringe, anche perché la Nota di aggiornamento al Def, su cui dovrà poi essere “costruita” la legge di bilancio, dovrà essere pronta per il 27 settembre. Al Mef il lavoro dei tecnici ricomincerà la prossima settimana seguito da quello delle tre task force istituite da Tria (fisco, welfare e investimenti pubblici). Il ministro partirà per la Cina il 27 agosto e al suo rientro, l’8 settembre, sarà atteso dall’Ecofin di Vienna in cui cominceranno a essere più chiari gli esiti del confronto con la Commissione Ue sui nuovi margini di flessibilità dai quali dipende la fisionomia della prossima manovra. Il sottosegretario all’Economia, Laura Castelli, a SkyTg24 si dice convinta che «Bruxelles apprezzerà il nostro modo di procedere» anche perché «il nostro contratto di governo dice chiaramente che abbiamo tra gli obiettivi quello di ridurre il debito pubblico».
Quindi, dalla revisione e dalla ricalibratura della spesa dovrebbero arrivare non meno di 3-4 miliardi, ai quali se ne dovrebbero aggiungere circa 3 in versione una tantum dalla pace fiscale e almeno 5 dalla potatura delle tax expenditures. Il tutto al netto dell’esito della partita con Bruxelles sui nuovo spazi di “extra-deficit” e in attesa di capire quanto peserà sulla prossima legge di bilancio la variabile “spread”. La “dote-tagli” dovrebbe essere recuperata attraverso interventi su tutte le amministrazioni centrali, ma non sugli enti locali, e guardando con attenzione il perimetro di spesa degli acquisti Pa. In ogni caso Tria ha fatto chiaramente capire a più riprese che punta a ridurre il peso delle uscite correnti sul bilancio pubblico, escludendo però dalla nuova fase di spending review sanità, istruzione e ricerca.
Resta da capire come sarà gestito il flusso di risorse necessarie per alimentare il piano di messa in sicurezza di infrastrutture, invasi e forse anche scuole, annunciato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e di fatto confermato dal premier Conte. Tria considera prioritario un piano da varare a settembre per rendere spendibili i 150 miliardi per opere infrastrutturali già stanziati per 15 anni nel bilancio dello stato (118 miliardi sulla carta subito spendibili). Ma nel Governo cresce il fronte di chi spinge per mettere in campo anche nuove risorse per le infrastrutture sostenendo che le spese per la sicurezza del Paese non possono essere sottoposte ai vincoli Ue. Non solo: il piano infrastrutture potrebbe dare una spinta al Pil (con un andamento in calo rispetto alle previsioni del Def di aprile targato Gentiloni-Padoan) alleggerendo di conseguenza il rapporto con il deficit. Di qui l’ipotesi di una strategia della “doppia” flessibilità (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) eventualmente funzionale ad allargare gli spazi oggetto del negoziato con Bruxelles, magari ricorrendo al meccanismo delle “circostanze eccezionali”.
Di variabili da calcolare, spread compreso, ne restano ancora molte. Non a caso Giorgetti lunedì ha detto che sulla manovra ci sono diversi scenari. Ma il tempo stringe, anche perché la Nota di aggiornamento al Def, su cui dovrà poi essere “costruita” la legge di bilancio, dovrà essere pronta per il 27 settembre. Al Mef il lavoro dei tecnici ricomincerà la prossima settimana seguito da quello delle tre task force istituite da Tria (fisco, welfare e investimenti pubblici). Il ministro partirà per la Cina il 27 agosto e al suo rientro, l’8 settembre, sarà atteso dall’Ecofin di Vienna in cui cominceranno a essere più chiari gli esiti del confronto con la Commissione Ue sui nuovi margini di flessibilità dai quali dipende la fisionomia della prossima manovra. Il sottosegretario all’Economia, Laura Castelli, a SkyTg24 si dice convinta che «Bruxelles apprezzerà il nostro modo di procedere» anche perché «il nostro contratto di governo dice chiaramente che abbiamo tra gli obiettivi quello di ridurre il debito pubblico».
Marco Rogari – IL Sole 24 Ore