All’ultima curva della provinciale 17 prima di arrivare alla frazione di Campofontana, un centinaio di residenti nel comune di Selva di Progno, giace la carcassa di una manzetta sbranata, l’ultima (finora) di quest’estate che ha visto un’impennata senza precedenti di predazioni dei lupi. Ad oggi, tra bovini e ovini, siamo già a 70 capi uccisi in Lessinia – contro i 67 dell’intero 2016 – di cui 12 solo a Campofontana e 20 nella vicina frazione di San Bortolo, poco più a valle. Gli slogan scritti su alcuni lenzuoli appesi anche sui cartelli stradali non lasciano troppi dubbi su chi gli allevatori della zona giudichino colpevole: «Regione vergognati. Hai svenduto la nostra Lessinia ai lupi».
Per la gente di qui, la favola del lupo Slavc che parte dalla Slovenia, percorre 2mila chilometri (monitorato da un radio collare parte di un progetto dell’Università di Lubiana) e incontra fortuitamente in Lessinia la sua Giulietta, rappresentando il primo ricongiungimento dopo oltre un secolo tra un lupo dinarico e uno italiano, è, appunto, solo una favola. «Chi ha portato il lupo è un problema più grande del lupo», riassume il pensiero dei suoi compaesani Elio Pagani. La tesi ampiamente condivisa qui è che i lupi, in Lessinia, siano stati portati di proposito per poi avere accesso ai fondi che l’Europa eroga con il progetto Life Wolf Alps cui la Regione Veneto ha aderito. I burocrati (tra cui vengono annoverati gli uomini della Forestale) e gli ambientalisti non godono, da queste parti, di buona reputazione.
Dal 2012, anno del loro primo avvistamento, Slavc e Giulietta hanno dato vita a diverse cucciolate. Il branco si è ingrossato e poi disperso nell’area pedemontana veneta, con sconfinamenti sull’Altopiano di Asiago, sul Monte Grappe e in Cansiglio, dove sono stati recentemente immortalati dalle fototrappole. Nel suo ultimo monitoraggio, la Regione parla di almeno 14 lupi stabili in Veneto. Numeri che per gli allevatori della Lessinia sono ampiamente sottostimati.
A Campofontana, la prima vittima dei lupi è stato un vitello di razza Limosina nel maggio 2015. Da allora, un’escalation culminata in queste ultime settimane. A Martino Roncari i lupi hanno predato già dieci manze, sette solo quest’anno. «Conviviamo con questo problema da quattro anni, anche un bambino ormai capisce che così non si può andare avanti», dice. Qualche piccolo allevatore ha già chiuso i battenti, altri meditano di farlo. D’altra parte, il settore è da tempo in ginocchio, il latte a 25 centesimi al litro non ripaga né le bollette né i sacrifici. «È una vita da straccioni – dice Caterina Roncari – ma se queste aziende chiudono, la Lessinia è finita».
Le misure che la Regione ha messo in campo sono essenzialmente due: i recinti elettrificati (anche abbinati a dissuasori acustici) e i risarcimenti per i capi predati, il tutto finanziato con il famigerato progetto Wolf Alps. Entrambe vengono liquidate come risposte insufficienti, quando non offensive, al problema. Le mucche in Lessinia pascolano allo stato brado. Mettere i recinti vuol dire rivoluzionare la vita degli allevatori che, ogni sera, devono chiudervi all’interno la mandria. In ogni caso, dei recinti promessi, ne sono arrivati pochissimi. E quei pochi che ci sono non hanno impedito le predazioni. Quanto ai risarcimenti, sono «un’umiliazione», secondo Elisabetta Peloso, vicesindaco di Selva di Progno e figlia lei stessa di allevatori: «Posto che non coprono il danno e che vengono liquidati con enorme ritardo, ci si ostina a non capire che c’è un rapporto fortissimo tra allevatore e animale». Il punto è che nessun compromesso viene ritenuto accettabile: «In un territorio come questo, una grande stalla cielo aperto, i lupi non ci devono stare. Io comunque ho paura anche per i miei figli», sottolinea Enrico Beltramini, allevatore di San Mauro di Saline e presidente di Salvaguardia Rurale Veneta.
L’ultimo lupo in Lessinia, prima di questo revival, fu ucciso quasi due secoli fa, attorno al 1820: seguirono tre giorni di festa. Oggi, quel pericolo ancestrale si ripresenta e a poco valgono le e rassicurazioni degli esperti, per cui i lupi non rappresentano una minaccia per l’uomo. «E allora perché i nostri bisnonni mettevano le inferriate alle finestre?», si chiede Claudio Menegalli, che a Valbusa di Bosco Chiesanuova abita in una casa di 250 anni che ha ancora montate quelle originali.
La paura si è diffusa anche nei villeggianti. Sono tremila ogni estate i ragazzi che frequentano le case della Diocesi a Campofontana e a Boscochiesanuova. «Mi dicano come mi devo comportare – dice don Nicola Giacomi, direttore della pastorale giovanile – Per la prima volta da 46 anni, non abbiamo fatto la nostra veglia di preghiera sulla Collina del Silenzio». Il Comune di Selva di Progno ha decretato lo stato di emergenza, invocando poteri straordinari. «Il lupo è specie protetta, ma sono possibili piani di abbattimento in deroga quando è a rischio l’incolumità delle persone», dice Peloso. Qui lo dicono a denti stretti: solo se il lupo attaccherà l’uomo, qualcuno a Venezia ascolterà.
Alessio Corazza – Il Corriere del Veneto – 3 agosto 2017