Il paziente (presunto danneggiato) che agisca in giudizio facendo valere una responsabilità civile medico-sanitaria a fini risarcitori deve allegare la mancata guarigione o l’aggravamento della patologia di ingresso e i profili di inadempimento del medico e/o della struttura nosocomiale. La sentenza
I medici, d’altro canto, sono gravati dell’onere della prova che l’inadempimento non vi è stato affatto o se vi è stato, non è dipeso da causa ad essi imputabile ovvero non è stato causa del danno.
Dal punto di vista del nesso eziologico, ove il giudice non sia in grado di accertare in modo certo e pieno, in base al principio del libero convincimento, la derivazione del danno dalla condotta del medico e/o della struttura di cura, occorrerà verificare se in mancanza della condotta sanitaria censurabile (ovvero in presenza di una condotta più appropriata ed omessa) i risultati (in termini di normalità applicata alla singola e complessiva fattispecie) sarebbero stati diversi e migliori per il paziente secondo il principio del “più probabile che non”.
Sono queste le conclusioni cui perviene l’ampia e articolata sentenza del Tribunale di Roma (giudice estensore Moriconi) depositata il 30 aprile. Nel caso concreto all’esame del giudice capitolino gli eredi del paziente avevano chiamato in giudizio due strutture ospedaliere presso le quali era stato ricoverato un loro congiunto poi deceduto a causa di una serie di lamentate negligenze.
Con la sentenza il tribunale capitolino rigetta la domanda contro uno dei nosocomi ritenuti responsabili e con separata ordinanza nomina il consulente tecnico d’ufficio per l’approfondimento istruttorio nei confronti dell’altro ospedale convenuto. Il rigetto consegue a una allegazione priva di specificità, non riuscendo a soddisfare il necessario onere del presunto danneggiato di indicare non genericamente quale sia l’inadempimento qualificato che si addebita al medico e/o alla struttura nosocomiale.
Il tribunale romano, partendo da una puntuale ricostruzione dei princìpi formulati dalla Cassazione, nel cui solco si muove la decisione (si veda Cassazione, Sezioni unite, 577/2008), pone in rilievo come dalla ormai acclarata ricostruzione della responsabilità in termini contrattuali – dalla quale deriva che il paziente ha l’onere (solo) di allegare il contratto e il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare né la colpa del medico né quella della struttura – non possa conseguire l’ammissibilità di azioni esplorative.
Infine, i giudici precisano nella sentenza che, nonostante il paziente, alla stregua della giurisprudenza attuale, non abbia altri e particolari oneri probatori ciò non consente certo di precludere al giudice di accertare la verità iuxta alligata et probata partium nonché utilizzando strumenti (come la consulenza tecnica d’ufficio) che non appartengono alla esclusiva disponibilità delle parti. E ancor meno che ne vengano private le parti che sono gravate da quegli oneri di prova e che formulino richieste istruttorie (anche di Ctu).
Il Sole 24 Ore – 7 maggio 2015