La replica: “Sanzione abnorme, è un attacco al codice etico”. Una multa da 912.536,40 euro inflitta al Consiglio Nazionale Forense «per aver ristretto la concorrenza, limitando l’autonomia degli avvocati in materia di compensi professionali».
La sanzione erogata dall’Antitrust all’organismo che rappresenta gli avvocati è la più alta mai inflitta a un ordine professionale, tanto che in un brevissimo comunicato il Consiglio Nazionale Forense definisce il provvedimento «abnorme e sproporzionato», aggiungendo che la sanzione «per la sua assurda quantificazione si commenta da sola». Ma il comportamento del Cnf è stato ritenuto particolarmente grave perché l’abolizione dei minimi tariffari è previsto da ben due riforme, le “lenzuolate” di Bersani del 2006, che li avevano resi non vincolanti, e successivamente il decreto “Cresci Italia” del governo Monti, che nel 2012 li ha definitivamente abrogati. Ma non per il Consiglio Nazionale Forense che non ne fa una questione economica ma etica. Per cui «gli organi preposti al controllo della deontologia professionale, segnatamente del decoro professionale, possono intervenire per censurare, non già qualsiasi scostamento dalle tariffe, bensì le richieste di compensi incompatibili, in quanto sproporzionati, con il valore della prestazione».
Con il provvedimento pubblicato ieri l’Antitrust sanziona inoltre un altro comportamento del Consiglio Nazionale Forense ritenuto gravemente lesivo della concorrenza, e cioè l’adozione di «un parere contro i siti Internet che propongono ai consumatori associati sconti sulle prestazioni professionali, in base alla tesi che ciò confliggerebbe con il divieto di accaparramento della clientela sancito dal Codice deontologico della categoria». Le norme deontologiche, precisa l’Antitrust, «in quanto frutto della autoregolamentazione privata» non possono derogare alle leggi dello Stato. E quindi non si capisce perché debba essere sanzionata la pubblicità via Internet di tariffe particolarmente convenienti offerte da alcuni professionisti, nonostante l’offerta, come obietta il Cnf, appaia «promiscuamente insieme a proposte di altro genere, tutte tra loro omogeneizzate dal dato della sola convenienza economica». Una circostanza che a parere del Consiglio svilisce la prestazione professionale, che andrebbe valutata soprattutto sulle «credenziali di qualità» dell’avvocato, mai sul solo prezzo.
«La cosa più grave è che il codice etico sia considerato alla stregua di intese anticoncorrenziali». L’Autorità ha rigettato queste obiezioni, diffidando il Cnf «dal ripetere in futuro analoghi comportamenti». Il Consiglio Nazionale Forense ha annunciato il ricorso al giudice amministrativo.
Il Sole 24 Ore – 15 novembre 2014