Capitoli di spesa eliminati o ridotti per 29,9 miliardi nel 2017. Sono gli effetti “strutturali” della spending review avviata nel 2014, che ha prodotto una riduzione delle voci di “uscita” per 3,6 miliardi nel suo primo anno, 18 miliardi nel 2015 e 25 miliardi nel 2016 non cumulabili ai fini dell’indebitamento Pa. Con le misure già adottate è previsto che nel 2018 l’asticella salga a quota 31,5 miliardi. Una potatura complessivamente pari al 18% della spesa corrente, al netto dei costi del personale, che scende a poco più del 9,1% considerando anche gli oneri per gli “statali”. A contribuire maggiormente all’operazione “tagli selettivi ed efficientamento” sono state le amministrazioni centrali, ministeri in primis (24% della spesa complessiva senza però il “peso” del capitolo dipendenti pubblici), e in misura minore gli enti territoriali (17%). Una fetta non trascurabile di risparmi è stata realizzata anche con il rafforzamento della centralizzazione degli acquisti Pa: +13% tra il 2014 e il 2016. Nello stesso periodo la spesa per forniture presidiata con il “metodo Consip” è lievitata del 27%. I numeri sono contenuti nella prima relazione sulla “spending” presentata ieri alla Camera dal commissario straordinario alla revisione della spesa, Yoram Gutgeld, alla presenza, tra gli altri, del premier Paolo Gentiloni e dei ministri Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio e Claudio De Vincenti.
«Non mollare la presa», è «l’appello» lanciato da Gutgeld «alle forze politiche e al Governo che verrà». Una sollecitazione a proseguire sul solco della “spending” già tracciato e reso ancora più profondo dalla riforma del bilancio dello Stato, approvata lo scorso anno dal parlamento. Ed è quasi in dirittura d’arrivo, seppure leggermente in ritardo rispetto alla tabella di marcia originaria, proprio un provvedimento attuativo di questa con cui saranno indicati gli obiettivi di riduzione di spesa dei ministeri nel prossimo triennio, a cominciare dalla stretta per oltre un miliardo nel 2018 da realizzare con la prossima legge di Bilancio e già fissata dall’ultimo Def. Ad annunciarlo è stato Gentiloni: è in arrivo «un Dpcm per nuove regole del bilancio in particolare per i ministeri per poter meglio programmare le spese».
Il premier non ha negato che nella Pa esistano sprechi, ha però evidenziato che «non c’è religione dei tagli ma aspirazione all’efficienza». Gentiloni ha poi sottolineato che «una sfida altrettanto importante per la pubblica amministrazione è quella della capacità di spesa per gli investimenti e per il lavoro nel nostro Paese». Risparmi sì ma non solo, dunque.
Il ministro Padoan ha lasciato intendere che le misure adottate negli ultimi anni hanno funzionato e che quella della revisione della spesa è una strada da continuare a percorrere. «Dopo la presentazione della relazione sulla spending review mi auguro di leggere un po’ meno che in Italia la spending non si è fatta o si è fatta male», ha affermato il ministro. Che ha aggiunto: emergono «numeri considerevoli che creano, hanno creato e continueranno a creare spazio fiscale importante. Sarà dovere dei policy maker utilizzare questo spazio in modo efficiente ed efficace». Padoan ha anche tenuto a far notare che l’Italia fa da apripista nell’Eurogruppo per le politiche di revisione e razionalizzazione della spesa (è diventata un caso «interessante»). Non solo: il nostro Paese per i progressi compiuti si è portato al primo posti a livello Ocse a eccezione della Grecia.
Nel dossier-Gutgeld si afferma che nel triennio 2013-2016 il personale pubblico è diminuito, al netto della scuola, di circa 84mila unità: il 3,8% degli organici con punte di quasi il 7% nei ministeri. A fine 2016 complessivamente la spesa pubblica ha raggiunto gli 829,3 miliardi (66,3 miliardi sono riconducibili a interessi sul debito) ma le uscite considerate realmente aggredibili dal commissario Gutgeld sono state invece di 327,7 miliardi, di cui circa il 50% individuabile sotto la voce “personale” (164,1 miliardi) e il 41,5% sotto quella degli “acquisti di beni e servizi” (135,6 miliardi). Fuori da questo perimetro resta la spesa sociale (337,5 miliardi). Anche dopo la riforma Fornero nel confronto europeo il nostro Paese continua a presentare il rapporto più elevato tra uscite per pensioni e Pil (16,5% nel 2014). Un confronto che però dimostra, come ha osservato il commissario, che negli ultimi anni l’Italia è stato il Paese più virtuoso sul versante della “spending” (Grecia a parte).
Gutgeld ha infine ricordato che «la revisione della spesa ha creato circa due terzi delle risorse messe a disposizione per il conseguimento di tre importanti obiettivi: il risanamento dei conti pubblici (indebitamento netto ridotto dal 3%del Pil nel 2013 al 2,4% nel 2016); la riduzione della pressione fiscale (scesa dal 46,3% nel 2013 al 42,3% nel 2016 al netto degli 80 euro); il finanziamento dei servizi pubblici essenziali (dai 12,7 miliardi per prestazioni previdenziali e assistenziali, alla sanità e ai migranti fino alla sicurezza).
Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 21 giugno 2017