Che cosa cambia con la vittoria dei «sì» ai quattro quesiti referendari? Con il voto gli italiani hanno bocciato il ritorno dell’Italia all’energia nucleare, dopo 20 anni di inattività, il trasferimento anche ai privati della gestione della rete idrica e la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, e infine la richiesta da parte del presidente del Consiglio e dei ministri del rinvio di udienze in tribunale in processi in cui figurano imputati, opponendo propri impegni istituzionali, quali il legittimo impedimento allo svolgimento delle udienze.
NUCLEARE – In particolare, quanto al nucleare, gli elettori hanno bloccato il progetto del governo di avviare la costruzione di nuove centrali atomiche nei prossimi anni. La consultazione si è celebrata su un quesito diverso da quello originario, reso inattuale dall’abrogazione delle norme sul rientro nella produzione di energia dall’atomo intervenuta con il decreto Omnibus. Il quesito è stato infatti rinnovato dalla Corte di Cassazione (e in questa forma ritenuto definitivamente ammissibile dalla Consulta) sui comma 1 e 8 dell’articolo 5 dello stesso decreto. La prima norma, abrogata dal referendum prevedeva che, per acquisire ulteriori evidenze scientifiche relativamente alla sicurezza nucleare, non si procedesse più alla definizione e attuazione del programma sugli impianti nucleari (moratoria). Il comma 8 dettava una nuova disciplina dei contenuti e modalità di adozione della Strategia energetica nazionale: avrebbe dovuto essere adottata entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge. Con la rinuncia al nucleare, l’Italia direbbe addio, secondo le stime, a 30 miliardi di investimenti di cui il 70% gestito da aziende italiane. Sulla questione l’esecutivo ha dovuto però stravolgere i propri piani dopo il disastro nucleare della centrale giapponese di Fukushima e nel decreto Omnibus ha approvato anche delle norme che di fatto hanno fermato la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano.
ACQUA – Uno dei due quesiti sull’acqua riguardava le modalità di affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, l’altro la determinazione delle tariffe del servizio idrico. La norma del governo Berlusconi (Legge 133/2008, il cosiddetto «decreto Ronchi») puntava alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, compresa la gestione dell’acqua (anche se si precisa che la proprietà pubblica del bene acqua dovrà essere garantita) e prevedeva che la gestione dovesse essere conferita attraverso gare, mentre le gestioni in house (cioè pubbliche) improrogabilmente dovessero cessare, a meno di cedere parte del capitale ai privati. Il governo voleva così mettere definitivamente sul mercato le gestioni di 64 Ambiti territoriali ottimali (ATO, aree in cui è suddiviso il servizio idrico a livello nazionale) su 92 che non hanno ancora proceduto ad affidamento o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime, infatti, cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011 o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplinava le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015. A detta degli esperti tecnici di settore, ora «il vero dopo-referendum lo devono decidere i Comuni. Loro sono i proprietari delle aziende in quasi tutte le città, quindi saranno le amministrazioni comunali a dover dire se faranno gare e/o affidamenti diretti».
LEGITTIMO IMPEDIMENTO – Il quarto dei quesiti riguardava il legittimo impedimento, ovvero l’istituto giuridico che permette a premier e ministri imputati in un processo di giustificare, in alcuni casi, la propria assenza in aula, a causa di impegni istituzionali segnalati alla Magistratura e da questi riscontrati. Con il «sì», i cittadini abrogano una legge voluta dal centrodestra in questa legislatura per una rapida applicazione, più volte avvenuta, nei processi al premier Silvio Berlusconi, dopo che la Corte costituzionale aveva bocciato per incostituzionalità precedenti leggi del centrodestra per la sospensione dei processi a premier e alte cariche dello Stato. La stessa legge sul legittimo impedimento è stata oggetto di intervento della Consulta che l’ha corretta, obbligando a introdurre il potere del Tribunale di sindacare sulla reale esistenza del legittimo impedimento sollevato. «Volete voi che siano abrogati l`articolo 1, commi 1, 2, 3, 5, 6 nonché l`articolo 1 della legge 7 aprile 2010 numero 51 recante »disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?», era il testo.
Corriere.it – 13 giugno 2011