Pa, gli sperperi dei Comuni. Cinquemila mail inviate a Palazzo Chigi: ?«Più merito e meno sprechi»
Una faccenda tremendamente seria. Ecco come appare agli occhi degli italiani la proposta di riforma della P.A. presentata dal governo nei giorni scorsi. In 5 mila, dal 30 aprile, hanno raccolto l’invito di Matteo Renzi che ha chiesto al mondo del web di indirizzare al governo suggerimenti per calibrare al meglio il «cambiamento radicale» di cui ha parlato il premier.
E le prime mail che Il Messaggero ha potuto consultare, e qui riportate in forma anonima, inviate a rivoluzione@governo.it raccontano la forte partecipazione dei cittadini. Riassumibile in pochi ma chiari concetti: tagliate gli sprechi accorpando gli uffici, ringiovanite metodi e personale e premiate i migliori. Certo, c’è chi si sfoga con accenti pesanti e talvolta qualunquistici contro gli statali fannulloni. Ma il tono generale è costruttivo. E spesso molto dettagliato nel merito. E’ il caso di Chiara, ad esempio. La quale, dalla sua scrivania di dirigente del ministero del’Economia, superata la sorpresa per il fatto che «il datore di lavoro mi chiede un parere in merito ad una riforma che mi riguarda», prende in esame tutti i 44 punti che compongono la proposta di Palazzo Chigi indicando per ciascuno elementi di forza e di debolezza e formulando possibili correttivi. Il tutto condito dalla convinzione che si possa imprimere una svolta «a costo zero rendendo più moderno e in linea con gli altri Stati europei il nostro apparato amministrativo».
L’impiegato Primiano concentra la sua attenzione sulla necessità che vengano introdotti in tempi brevi meccanismi utili per gratificare gli statali più bravi. «Però si devono basare su risultati concreti e valutazioni fatte dai cittadini», avverte un professionista romano che ha a che fare con i ministeri «perchè non serve a nulla se la valutazione delle prestazioni se la fanno internamente». Altrimenti va a finire che le prestazioni «sono tutte eccellenti e sopra la media».
CHIACCHIERE E OBIETTIVI
Sul tema si sfoga Angelo, dipendente comunale. «Il mio dirigente mi fa molti complimenti per il lavoro svolto, ma solo a chiacchiere, perchè lui riesce a raggiungere gli obbiettivi prefissati e a me restano parole o a massimo qualche briciola: è giusto?», si chiede dalla provincia di Benevento. Roberto che fa l’operatore sanitario invoca un forte turn over nel suo settore in quanto «ci sono medici ed infermieri in settori strategici (sale operatorie, pronto soccorsi e psichiatrie) che hanno 35 anni servizio e che lavorano nel massimo stress e sempre con risorse minori». Con il rischio che si moltiplichino casi di malasanità. Quello del ricambio generazionale è un tema molto sentito. Angela, dirigente di polizia penitenziaria ricorda che l’ultimo concorso del comparto risale ormai al 2001, tanto che la maggior parte dei funzionari «hanno superato già da qualche anno i 60 anni».
BASTA BARONIE
Le proposte che corrono in rete non sono affatto scritte sulla sabbia. Manuele ad esempio invia a Marianna Madia una mappa per suggerire al ministro dove concentrare le 39 future prefetture italiane «tenendo anche conto delle dimensioni territoriali e demografiche». Superare le «baronie» nelle università e negli enti di ricerca è il pallino di Nico dipendente Inaf che invoca direttori dei dipartimenti under 50 e comunque «con non meno di 15 anni dalla pensione». «Il cambiamento passa dalle persone», proclama Luca in un manifesto di 10 punti tra i quali spicca il fatto che uno statale deve svolgere un solo incarico e il suo compenso massimo deve essere al massimo 10 volte quello della pensione minima. E poi disco verde alla mobilità straordinaria: «Bisogna poter trasferire qualsiasi dipendente pubblico dove, come e quando necessità ma mantenendo lo stesso stipendio e la medesima distanza da casa». Gettonatissima, tra le idee messe in campo dal governo, quella di accorpare Aci, Pra e Motorizzazione. E riscuote molto successo l’ipotesi del ruolo unico per i dirigenti. «Ce ne sono diversi che hanno più di un incarico e così producono anche disoccupazione», chiosa Claudio dal ministero della Pubblica istruzione. Più di una lettera inviata al governo (c’è tempo fino al 30 maggio ) conforta il progetto di eliminare l’obbligatorietà dell’iscrizione alla camera di commercio. «E comunque – taglia corto un imprenditore padano – ne basta una per ciascuna regione».
Il Messaggero – 5 maggio 2014