«Tutto ciò non è più tollerabile». Pier Carlo Padoan lo scandisce. Come ha appena scandito le cifre. Siamo un Paese che, tra il 2007 e il 2013, ha lasciato sul terreno della crisi numeri da guerra: «Prodotto interno lordo -9%, occupati -1,1 milioni, disoccupati raddoppiati». Basterebbe, a impedire a chiunque di «ignorare il crescente disagio sociale».
Sennonché a fotografarlo c’è un dato persino più drammatico. Gli italiani «a rischio povertà o esclusione sociale», ricorda il ministro dell’Economia, sono saliti «dal 25,3% del 2008 al 30% del 2012». Quasi un terzo della popolazione — e quando ancora non abbiamo toccato il picco degli effetti della recessione sul mercato del lavoro — contro una media europea sotto il 25%. Per cui no, che «non è più tollerabile». E dunque «non abbiamo alternative: dobbiamo tornare a crescere». Senza però illuderci che ci siano scorciatoie: «Non dobbiamo aggravare i conti pubblici, qualsiasi impegno deve essere sostenibile». Non solo. Se è a questo che sta lavorando il governo, a «misure strutturali pensate e decise insieme a provvedimenti immediati come la riduzione del cuneo fiscale o il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione», di un altro fatto gli italiani devono essere consapevoli: sposare crescita e tenuta dei conti dello Stato è possibile «soltanto con riforme strutturali», appunto, e ciò significa che per vederne appieno i frutti «occorre guardare a un orizzonte di medio periodo».
Dal palco del Forum Confcommercio, a Villa d’Este, il titolare dell’Economia ribadisce che è questa la linea lungo cui si muove il governo di Matteo Renzi. A cui Susanna Camusso ha ribadito le critiche per aver «esordito malissimo sul piano del lavoro». Quelle linee sono sviluppo e sostenibilità (con un accento diverso, rispetto al premier, su vincoli e flessibilità delle regole europee). Soprattutto: un’idea dell’Italia «domani», da non bruciare sull’altare di teorici e bugiardi risultati dell’«oggi».
Quali riforme, quali provvedimenti, quali «coperture» daranno forma al progetto lo sapremo presto, assicura: «L’insieme lo presenteremo con il Documento economico-finanziario». Adesso è quindi inutile insistere per i dettagli. Qualche «titolo» in più però Padoan lo concede. Tra le misure strutturali cui si sta lavorando ci sono ovviamente le misure per l’occupazione, «già in iter legislativo». C’è l’attuazione della delega fiscale (e qui arriva un «grazie al governo precedente»). Ci saranno nuove, magari parziali privatizzazioni: sul tavolo «concrete ipotesi per controllate come Fs e Fincantieri. Lo Stato è azionista di controllo di 30 società e socio di riferimento di molte aziende quotate. Lo spazio per una riduzione del ruolo pubblico c’è». Infine, uno dei nervi più scoperti: la spending review . È evidente: se i conti vanno rimessi in ordine — anche per uno «sviluppo duraturo» — dai tagli di spesa non si può prescindere. Lo chiedono le stesse parti sociali, e il padrone di casa del Forum di Villa d’Este, Confcommercio, ieri ha rincarato la dose con numeri crudi su quanto agli italiani sia costata la crisi: «Aggravio fiscale complessivo di 56 miliardi tra il 2008 e il 2013, oltre 70 miliardi di risorse in meno per le famiglie, crescita monstre delle tasse locali con un +650% dal 1990 a oggi». «Capisco le richieste», dice Padoan, da Confcommercio e dagli altri attori socio-economici «ne ho ricevuto molte, e tutte ragionevoli». Le risposte, avverte, dovranno «fare i conti con la sostenibilità» (lui in ogni caso, anche qui con accenti diversi rispetto a Renzi, ripete di ritenere «fondamentale il coinvolgimento delle parti sociali»). Sui tagli però no, dubbi non ce ne sono. Si andrà avanti. E starà alla politica assumersi le responsabilità che le competono: «Il lavoro di Carlo Cottarelli è il primo passo. Offre le opzioni possibili». Su un punto, tuttavia, il ministro insiste a rassicurare: «Non saranno tagli lineari. Non vogliamo «affamare la bestia», sappiamo bene che è una “bestia” che produce servizi. Quindi nessuna operazione punitiva: solo aggressione delle inefficienze pubbliche». Anche questo, in fondo, è un messaggio alle parti sociali. Alle quali riserva la battuta finale della puntata sul lago di Como: «In Italia il ministro dell’Economia è tradizionalmente il «ministro del no». Io ritengo che il suo vocabolario debba essere più ampio di questo monosillabo».
Raffaella Polato – Corriere della Sera – 23 marzo 2014