Un’occasione persa, una decisione improvvida e antistorica, che non aiuta i malati, nega al personale sanitario le condizioni ottimali di lavoro e non tiene il passo con l’evoluzione della scienza. Ecco cosa pensano i medici, sebbene mai interpellati dalla politica sull’argomento, del dietrofont sul nuovo ospedale di Padova annunciato a gran voce dal neosindaco Massimo Bitonci, che con l’appoggio del governatore Luca Zaia ha detto di voler rifare il vecchio.
«Sarà la prima decisione che prenderà la mia giunta, alla quale per l’occasione presenzierà Zaia», ha dichiarato subito dopo la sua elezione il leghista. La risposta arriva immediata dall’Ordine dei medici, che con una lettera aperta scritta dal presidente padovano Maurizio Benato chiede al primo cittadino «un incontro-dialogo». «Gli obiettivi di efficienza del sistema non sempre coincidono con l’efficacia e con un miglioramento delle condizioni di salute — recita la missiva —. Si rischia la divaricazione tra gli scopi della medicina e quelli dell’apparato sanitario e una costante delegittimazione dei contenuti scientifici rispetto ai contesti nei quali sono organizzati. Vanno individuati con chiarezza gli obiettivi di salute da raggiungere, ivi compresa la tanto discussa partita edilizia, non sempre condivisa con i medici. Il problema della limitazione nelle risorse va considerato dal punto di vista dell’appropriatezza della risposta sanitaria e non dovrebbe, come spesso accade, arrecare gravi danni alla professionalità degli operatori in nome di risparmi che invece potrebbero essere garantiti attraverso differenti virtuosità gestionali». «Voglio dire che lo stop al nuovo ospedale è un’occasione persa — spiega Benato — significa avere paura del futuro. L’evoluzione della medicina impone uno sviluppo della conoscenza e dell’organizzazione, che ha bisogno di un ambiente strutturale adeguato, sennò subisce grosse limitazioni. Ha vinto la corrente di pensiero contraria al nuovo ospedale? Bene, Bitonci ci dica quale sarà l’organizzazione della medicina nei prossimi anni».
Sulla stessa barricata Luigi Dal Sasso, segretario regionale della Cimo, sigla degli ospedalieri: «L’uscita di Bitonci, probabilmente fatta sull’onda del successo elettorale e dell’inchiesta sul Mose, è improvvida e non sono sicuro che basti a bloccare tutto. La verità è che gli ospedali di Padova non vanno bene, sono antieconomici e vanno ripensati, soprattutto dal punto di vista della sicurezza del paziente e dei medici che ci lavorano. Ci vuole un polo sanitario nuovo, l’esistente non è più sostenibile, non regge. Forse è meglio che il sindaco, dopo la sparata iniziale, approfondisca la conoscenza dell’argomento». «Ecco, il problema è proprio questo — incalza Adriano Benazzato, segretario regionale dell’Anaao, sindacato degli ospedalieri — i protagonisti dell’operazione e di tutta la discussione sull’opera sono politici che non sanno nulla di sanità, delle reali esigenze dei malati e degli operatori, dell’evoluzione della scienza e della ricerca, chiamata a lavorare accanto al letto del malato. Non si preoccupano minimamente di quello che ci dev’essere dentro un ospedale. Il no di Bitonci, come l’iniziale sì di Zaia, sono basati sul nulla, non derivano da un’analisi dettagliata dei bisogni sanitari della popolazione, da studi epidemiologici, ma dall’opportunità del momento. E’ un’anomalia che ci scandalizza profondamente».
L’irritazione dei camici bianchi è evidente e diffusa. «Non siamo mai stati consultati e siamo arrabbiati con Zaia, al quale abbiamo chiesto un incontro mai concesso — rivela Donatella Noventa, segretario veneto dell’Anpo, l’associazione dei primari —. Siamo stati tagliati completamente fuori, ma poi in ospedale ci lavoriamo noi e vorremmo avere più spazi, una migliore accessibilità e un campus universitario, anche per essere all’altezza dell’eccellenza estera e del privato». L’unica voce fuori dal coro appartiene al professor Giorgio Palù, che tutta la vicenda l’ha seguita molto da vicino, prima bloccando in qualità di allora preside di Medicina il primo progetto «Patavium» da 1,7 miliardi di euro e poi elaborando la proposta del secondo modello da 650 milioni e con campus, in veste di consulente della Regione. «Visto che non può esistere un ospedale senza la parte accademica, per la quale però sembrano non esserci le risorse, allora è più funzionale rifare il vecchio, che il campus ce l’ha — osserva Palù — è l’unione degli istituti clinici e di ricerca con i laboratori, che andrebbero ampliati. Il corpus dell’opera dovrebbe invece crescere in altezza, in modo da garantire diversi piani agli scienziati. Solo così si assicurano le cure migliori ai pazienti».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 11 giugno 2014