Michelangelo Borrillo. Da San Valentino a Ferragosto. Sei mesi, settimana più, settimana meno. Tanto durerà la novità dell’etichettatura della pasta (e del riso) decisa dal governo italiano con un decreto appena entrato in vigore. Per l’estate, infatti, è atteso il regolamento europeo direttamente applicabile in tutti gli Stati membri: con ogni probabilità basterà indicare, su base volontaria, se l’ingrediente primario ha un’origine diversa da quella del prodotto finito.
Di certo, dalla prossima estate le etichette dovranno cambiare di nuovo, dopo la novità appena entrata in vigore che prevede che le confezioni indichino il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e macinato. Se le due fasi avvengono in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture Paesi Ue, Paesi non Ue, Paesi Ue e non Ue. Invece, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in Italia, si può scrivere Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue.
Oltre ai ministri Maurizio Martina (Politiche agricole) e Carlo Calenda (Sviluppo economico), ha esultato per l’introduzione dell’etichettatura la Coldiretti, da sempre in prima fila per la trasparenza. I pastai italiani di Aidepi, che nei mesi scorsi si erano opposti, si sono adeguati. E Italmopa ha sottolineato come la qualità del grano duro non possa in alcun modo «essere automaticamente ricondotta al luogo di coltivazione».
La certezza è che la pasta italiana continua a vendersi sempre di più nel mondo — come evidenziano i dati di Confcooperative — con l’export cresciuto negli ultimi 5 anni del 39%. Export di pasta di aziende italiane, non solo di grano italiano.
IL Corriere della Sera – 14 febbraio 2018