Paolo Baroni. L’«idea sciagurata», come la definisce il presidente dell’Inps Tito Boeri potrebbe costarci ben 141 miliardi di euro. Per questo, ma non solo per questo, bisognerebbe evitare di manomettere le regole introdotte nel 2009 dal governo Berlusconi e poi rafforzate con la riforma Monti-Fornero del 2011 che di fatto hanno messo in sicurezza la nostra previdenza. «Il blocco dell’età pensionabile è qualcosa che va a interferire con gli automatismi che abbiamo introdotto nel nostro sistema» sostiene da mesi Boeri che ora torna all’attacco segnalando i costi «insostenibili» di un’operazione del genere.
L’adeguamento automatico dell’età della pensione alle aspettative di vita è fissato per legge, con revisioni prima triennali e poi dal 2019 biennali, ed è giudicato il vero perno del nostro sistema previdenziale. Insomma un vero meccanismo di garanzia, che anche all’estero ci riconoscono, soprattutto perché legato a decisioni di tipo amministrativo e quindi slegato dai possibili mercanteggiamenti a favore di questa o di quella categoria. Per questo è fondamentale «sottrarlo all’arbitrio della politica che, abbiamo visto, interviene sempre tardi e mira ad accontentare qualcuno in vista delle prossime elezioni» sostiene Boeri. Era fine settembre quando il presidente dell’Inps pronunciava queste parole e già anticipava in qualche modo quello che sta accadendo oggi.
E’ convinzione diffusa che se a questo punto dovessimo cambiare le regole, avremmo subito contraccolpi sulla credibilità esterna del nostro Paese, un impatto forte sui titoli di Stato, che tra l’altro la diluizione del quantitative easing da parte della Bce renderebbe ancora più gravoso, e questo aumenterebbe ancor di più il peso dei nostri conti pubblici.
Per il governo l’adeguamento dei requisiti di accesso alla pensione è uno strumento fondamentale che al pari dell’introduzione del nuovo sistema di calcolo contributivo e della ripresa della crescita contribuisce in questa fase a stabilizzare la nostra spesa previdenziale. Infatti, pur a fronte di una dinamica demografica tutt’altro che favorevole, come specifica anche l’ultimo Def, il costo delle pensioni «decresce per un periodo di circa 15 anni attestandosi al 15,1% del Pil attorno al 2028», mentre oggi viaggia ancora attorno al 15,5-15,6%. Per questo fino a ieri sia il premier Gentiloni che il ministro dell’Economia Padoan hanno tenuto il punto, tanto da costringere la settimana scorsa il ministro del Lavoro Poletti ad aggiornare a data da destinarsi il tavolo coi sindacati che hanno messo proprio il blocco dell’età in cima alla lista delle loro richieste.
I 141 miliardi di spesa in più che calcola l’Inps, immaginando che venga rispettata unicamente la clausola di salvaguardia che fa scattare comunque la soglia dei 67 anni a partire da 2021, e lasciando poi invariata la situazione sino al 2035, sarebbero quasi interamente destinati a tradursi in aumento del debito pensionistico implicito, dato che l’uscita prima del previsto di centinaia di migliaia di lavoratori verrebbe compensata solo in minima parte dalla riduzione dell’importo delle loro pensioni.
Per il presidente della Commissione lavoro della Camera Cesare Damiano quello dell’adeguamento automatico dell’età è «un meccanismo perverso», che non tiene conto delle mansioni svolte dai lavoratori e che pertanto «va assolutamente rivisto». Anche perché prevede solo aumenti al rialzo e mai all’ingiù, anche nel caso (ovviamente non auspicabile) che l’aspettativa di vita in alcuni anni cali. Assieme al suo omologo del Senato, Maurizio Sacconi, nelle scorse settimane Damiano ha lanciato un appello già sottoscritto da oltre 100 parlamentari. La loro idea è di rinviare a giugno 2018 la decisione sull’età, operazione ovviamente a costo zero. Se poi si volesse sospenderne temporaneamente l’aumento, mantenendo il livello attuale di 66 anni e 7 mesi per la vecchiaia e a 42 anni e 10 mesi per l’anticipo (41 e 10 mesi per le donne) fino al 2021, il costo sarebbe comunque relativamente contenuto. Al massimo per il biennio 2019-2020 potrebbero servire in tutto 5 miliardi.
La Stampa – 26 ottobre 2017