L’Ape, la possibilità di andare prima in pensione, non vola. E rischia il flop. Non solo per problemi di calendario: mancano tre decreti attuativi, l’accordo quadro con banche e assicurazioni, il parere del Consiglio di Stato, la registrazione della Corte dei Conti, una o due circolari Inps. Difficile avere tutto entro il primo maggio, con Pasqua e ponti di mezzo. Ma anche per il meccanismo. Tortuoso e costoso quello dell’Ape volontaria, un prestito assicurato ventennale. Fin troppo ristretto l’altro per l’Ape sociale, gratis e limitata ai lavoratori disoccupati o disagiati.
APE VOLONTARIA
Possono chiederla i dipendenti pubblici o privati con almeno 20 anni di contributi e 63 di età. Così da anticipare l’uscita da un minimo di 6 ad un massimo di 43 mesi (ovvero 3 anni e 7 mesi prima). Il testo del decreto, ancora fermo a Palazzo Chigi, prevede tre passaggi. L’interessato fa domanda di certificazione all’Inps, che verifica il possesso dei requisiti e simula l’entità dell’assegno e delle future rate. Poi il pensionando si dota di Spid, la chiave di accesso ai servizi pubblici. E infine inoltra la seconda domanda che di fatto è una triplice richiesta: di finanziamento alla banca, di assicurazione del prestito, di pensionamento posticipato. Il calcolatore dell’Inps e la modulistica online dovrebbero essere semplificati al massimo. Ma non sarà una passeggiata. Il prestito poi costa. Il tasso ipotizzato a settembre è già salito: non più 2,5% ma 2,75%. Interesse che si paga sulla cifra anticipata dalla banca che è la somma di tre componenti. Primo, la quota di pensione che si vuole anticipare (il 90% del futuro assegno se l’anticipo è di 1 anno, ma solo il 75% se si anticipa il massimo, cioè 43 mesi). Secondo, il premio assicurativo (il 29% dell’anticipo). Terzo, una fee pari allo 0,08% annuo, una commissione di accesso al fondo di garanzia statale da 70 milioni che interviene quando il pensionato non paga più le rate o muore oppure l’assicurazione fallisce. Insomma, l’Ape costa. Fino al 15% se si chiede l’anticipo massimo. E comunque attorno al 5% annuo. Secondo le simulazioni
Si restringe la platea di chi avrà diritto all’Ape sociale La denuncia della Cgil: “Esclusi anche gli edili”
di Progetica, un lavoratore con futura pensione netta da 1.300 euro dovrebbe rinunciare a 54 mila euro per andare in pensione 3 anni e 7 mesi prima. Con un assegno che tolta la rata diventerà di 929 euro (anche tenuto conto della detrazione al 50% offerta dallo Stato su interessi e premio assicurativo). Conviene? Forse, se nel frattempo – e si può fare – trova un lavoretto part-time. Ma difficilmente si arriverà a 300 mila richieste quest’anno e 115 mila il prossimo, come ipotizzato dal governo Renzi.
APE SOCIALE
È la modalità che più interessa i sindacati. Perché di fatto rappresenta un’indennità pagata dallo Stato fino a 1.500 euro, dunque un ammortizzatore sociale. Ma anche qui ci sono due problemi. Primo, i paletti molto stretti dei requisiti. Possono chiederla i disoccupati, chi assiste un parente disabile, gli invalidi almeno al 74% (con 30 anni di contributi) o chi ha svolto un lavoro pesante, incluso in 11 categorie specifiche, almeno negli ultimi 6 anni in modo continuativo (e 36 anni di contributi). Un criterio quest’ultimo che taglia fuori quasi tutti gli edili e i marittimi, assai discontinui, denuncia la Cgil. Il governo potrebbe inserire nella manovrina abbinata al Def una franchigia di 12 mesi (dunque 6 anni degli ultimi 7). Ma la coperta è corta. Il secondo problema riguarda la lista d’attesa, spuntata nel decreto che giace ancora a Palazzo Chigi. Chi fa domanda dal primo maggio (se l’Ape non slitta) al 30 giugno riceve l’assegno il primo ottobre o al massimo il primo novembre (con gli arretrati) secondo una classifica, con in testa i pensionandi più vecchi d’età. Le domande che arrivano dopo, dal 30 giugno sino a fine novembre, potrebbero essere respinte, se i 300 milioni stanziati dal governo (e studiati per 35 mila richieste) finissero. E comunque avrebbero l’Ape solo nel 2018 inoltrato.
Repubblica – 9 aprile 2017