L’inchiesta su Pfas e veleni nella falda di 13 Comuni della Bassa è tuttora in corso: ragion per cui, al momento, risultano entrambe coinvolte nelle indagini in qualità di «parti lese». Sia Legambiente che Acque Veronesi, però, si sono già fatte avanti in procura attraverso i rispettivi avvocati Luca Tirapelle e Vittore D’Acquarone mentre di qui a qualche giorno, con tutta probabilità all’inizio della prossima settimana, terranno insieme un vertice per mettere a punto una «strategia condivisa» sulle prossime mosse da intraprendere «al fine di ottenere giustizia»: sul tavolo del pubblico ministero Francesco Rombaldoni, che per scoprire i responsabili della contaminazione da sostanze perfluoalchiliche riscontrata nelle acque a cui sono esposti 72mila veronesi residenti nella Bassa ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di scarico abusivo nelle falde, campeggiano infatti le dichiarazioni con cui sia l’associazione ambientalista che la società scaligera che gestisce gli acquedotti delle zone coinvolte dall’emergenza Pfas si qualificano come «parti offese».
Con tale iniziativa, sia Legambiente (dal cui esposto in procura è scattata l’inchiesta veronese sulle Pfas) che Acque Veronesi anticipano di fatto quella che potrà essere la loro prossima mossa nel caso in cui la procura scaligera iscrivesse qualche presunto «inquinatore» nel registro degli indagati e ne chiedesse l’eventuale rinvio a giudizio: in caso di processo, infatti, tutte e due si potrebbero costituire parte civile con l’obiettivo di chiedere i risarcimenti per i danni subìti all’allarme-Pfas. Per quanto riguarda Acque Veronesi, peraltro, si tratta di ipotetici risarcimenti collegati ai costi a cui la società ha già dovuto far fronte per l’emergenza Pfas: cifre alla mano, il presidente Niko Cordioli nel sottolineare l’impegno di Acque Veronesi per far fronte all’inquinamento e mantenere i livelli della possibile contaminazione al di sotto dei tasi di guardia, ha conteggiato che «per questo, ad oggi abbiamo investito circa tre milioni di euro in filtri a carboni attivi e circa 700mila euro in monitoraggi, trasferendo su questa emergenza risorse regionali che erano destinate a interventi di miglioramento a Belfiore». E non è finita qui, perché lo stesso Cordioli ha aggiunto che «abbiamo chiesto a Venezia un finanziamento di due milioni ed 800mila euro per la realizzazione di un nuovo comparto di accumulo e potabilizzazione delle acque ad Almisano (Vicenza) e stiamo facendo studi per il trasferimento della fonte di approvvigionamento dell’acquedotto nell’Est veronese. Anche se per questo intervento servirebbero 20-25 milioni di euro…». Di qui, ovviamente, il preminente interesse da parte di Acque Veronesi a puntare su un eventuale risarcimento nel caso in cui la procura riuscisse a individuare i «colpevoli» della contaminazione. Secondo la Regione, sul banco degli imputati risulterebbe l’azienda Miteni di Trissino, nel Vicentino: la procura di Verona, con la sua inchiesta, punta a verificare se le cose stiano così o se esistano anche altri «contaminatori» delle falde.«L’importante è non perdere altro tempo, si è già atteso troppo ed anche per questo – spiega il vicepresidente di Legambiente Verona Lorenzo Albi – abbiamo fissato questo incontro con Acque Veronesi». Nel frattempo, il pm Rombaldoni ha deciso di accelerare per non dover chiedere una proroga alle indagini e infatti, su iniziativa della stessa procura di Verona, i carabinieri del Noe hanno adesso ricevuto l’incarico di raccogliere dalle Usl scaligere i dati dei rilevamenti sulla qualità delle acque di falda. Nuovi sviluppi all’orizzonte?
Il Corriere di Verona – 9 giugno 2016