Si riunisce oggi, a palazzo Ferro Fini, la Commissione d’inchiesta per le acque inquinate del Veneto da sostanze perluoroalchiliche (Pfas), istituita dal Consiglio regionale lo scorso maggio. Farà il punto della situazione e deciderà i nuovi interventi nella «zona rossa». Approfittando anche della chiusura estiva della Miteni, l’azienda di Trissino accusata di aver sversato sostanze chimiche nelle acque inquinando la falda in 21 Comuni veneti tra Vicenza, Verona e Padova (350mila abitanti), i tecnici dell’Arpav hanno eseguito una serie di campionamenti, che ora dovranno continuare. Per appurare la presenza o meno di presunte vasche di lavorazione nel sottosuolo del sito dell’azienda, è stata scavata una «trincea» lunga 40 metri, larga 2 e profonda fino a 5, senza però trovare niente di tutto ciò.
«Tra fine luglio e agosto l’Arpav ha svolto un’accurata ricerca all’interno dello stabilimento, seguendo anche le indicazioni fornite dai carabinieri del Noe (secondo i quali la Miteni già nel 1990 sapeva che alcune sostanze fuoriuscite avevano inquinato l’Ovest Vicentino, ndr ) — rivela l’amministratore delegato Antonio Nardone —. In particolare in un’area ritenuta particolarmente critica si è deciso di scavare la trincea, per essere certi di esaminare tutto il terreno meglio di come si sarebbe potuto fare attraverso singoli carotaggi. La buona notizia è che non è stato trovato nulla. Dunque non paiono fondate le preoccupazioni che vi siano rifiuti sepolti nell’area dello stabilimento. Possiamo ritenere che con la rimozione già avvenuta dei sacchi di rifiuti trovati sull’argine del torrente Poscola a inizio anno (40 tonnellate di terra rimossa, ndr ) si sia risolto il problema dell’inquinamento della falda sottostante rilevato in occasione delle piogge. Ragionevolmente — aggiunge Nardone — era quel materiale sepolto negli anni Settanta a creare un aumento di inquinanti rilevato da uno dei punti di controllo della falda. Lo si verificherà con le prossime piogge».
Resta però il problema di evitare un nuovo inquinamento dell’acqua. A tale scopo è stata realizzata una doppia barriera idraulica costituita da 20 pozzi di aspirazione posizionati tra il 2013 e il 2016 nella parte sud dello stabilimento, che intercettano l’acqua in uscita, la ripuliscono e la reimmettono nella falda. Finora sono stati filtrati 2,6 milioni di metri cubi d’acqua e sei misuratori dell’inquinamento posti a valle della barriera su un totale di sette registrano valori nella norma. Uno invece rileva tracce di inquinamento delle acque solo in presenza di precipitazioni intense, quindi sono stati predisposti ulteriori controlli nei giorni di pioggia incessante, quando i livelli dei fiumi e della falda saliranno.
«Le due barriere idrauliche poste a valle dello stabilimento stanno pulendo la falda — conferma Nardone —. Operano in modo efficace, come documentato dai punti di controllo che già danno evidenza di conformità dell’acqua a tutte le normative». Su quest’ultimo punto Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’Arpav, è più prudente: «Diciamo che ci stiamo avvicinando ai parametri di legge. L’obiettivo della barriera idraulica è impedire il proseguire dell’inquinamento della falda. La settimana prossima ci sarà una Conferenza dei servizi per approfondire lo studio e nel frattempo procediamo con i controlli sull’argine del Poscola, dove sono stati trovati i rifiuti. Sul fronte della bonifica stiamo ragionando sul da farsi insieme agli esperti dell’Istituto superiore di Sanità. Tutto il lavoro sui Pfas è un’operazione lunga, che andrà avanti a oltranza».
M.N.M. – Il Corriere del Veneto – 29 agosto 2017