Per il magistrato, la sentenza della Corte Costituionale è “ineccepibile” perché sottolinea che tutti i debitori sono uguali e le Asl non fanno eccezione. Ma il legislatore deve intervenire, prevedendo delle procedure di liquidazione o meglio di dissesto delle Asl come accade per i Comuni.
Ha sollevato un gran polverone la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della norma che prevede dell’impignorabilità dei beni delle Azienda sanitarie, bocciando quindi le misure contenute nella Legge di stabilità 2011 e nei successivi provvedimenti che ne hanno prorogato la validità fino a dicembre 2013. La Fiaso l’ha rispedita duramente al mittente oppugnando che le aziende sanitarie non possono essere considerate alla stregua di qualsiasi altra azienda e che pignorare i loro beni significa “ledere il diritto alla salute”. In allarme anche il governatore della regione Campania, Stefano Caldoro, secondo il quale la sentenza potrebbe vanificare il percorso di riordino dei conti della sanità regionale: “Così si rischia di tornare indietro e di fare danni enormi, di non pagare i fornitori e di non pagare la gestione ordinaria delle Asl. Intervenga la legge”. Mentre il capogruppo del Pdl al Senato, D’Ambrosio Lettieri sostiene la ratio della sentenza ricordando che il diritto alla salute verrebbe “leso anche se il pubblico non paga”, dal momento che i creditori non sarebbero più in grado di fornire beni essenziali o comunque funzionali per l’erogazione delle cure.
Per sbrogliare l’intricata matassa abbiamo sentito il parere di Antonio Lepre, magistrato, specialista del settore, che difende a spada tratta la sentenza definendola “ineccepibile”. Per Lepre, la Corte sottolinea che tutti i debitori sono uguali, anche quelli della pubblica amministrazione. Semplicemente che compra deve pagare. E le Asl non fanno eccezione. Senza dimenticare che questo stato di cose ha penalizzato pesantemente e ingiustamente i piccoli imprenditori.
Dottor Lepre, proviamo a fare chiarezza su questa sentenza che ha determinato un’alzata di scudi da più parti.
La Corte ha posto fine a un comportamento contrario a ogni civiltà giuridica, ossia consentire a un debitore, attraverso la legge, di finanziarsi sulla spalle dei creditori.
Questo è inaccettabile. Se si compra un bene, questo va pagato. Si può sospendere il pagamento per un breve periodo, ma non si può protrarlo all’infinito.
Soprattutto, la sentenza ha chiuso le porte a effetti distorsivi: la norma, infatti, impediva i pignoramenti, ma non impediva i pagamenti spontanei che, di fatto, avvenivano nella prevalenza dei casi senza alcun criterio oggettivo. In parole povere, le amministrazioni potevano decidere liberamente chi pagare e quando. È inutile dire che questo da un lato ha creato disordine dei conti, dall’altro è stato oggettivamente terreno di cultura della corruzione e ha distorto le regole del mercato. Basti pensare che alcuni fornitori hanno continuato a fornire merce alle Asl anche morose perché sapevano che prima o poi qualcuno avrebbe pagato e con interessi altissimi.
Le conseguenze? Gli imprenditori più forti sono sopravvissuti, mentre moltissime piccole e medie imprese, in particolare quelle che rifornivano solo le Aziende sanitarie, sono state spazzate via.
I rappresentanti delle Aziende sanitarie e non solo, oppugnano che la gestione ordinaria delle Asl potrebbe subire pesanti contraccolpi a causa dei problemi di liquidità delle strutture. Uno scenario che configurerebbe una lesione della tutela della salute. Si chiede per questo un intervento ad hoc del legislatore
Non dimentichiamo che le Asl sono già assistite da una legge che tutela i servizi essenziali. È sancito, infatti, che le somme destinate a questi servizi non sono pignorabili. Ma questo beneficio presuppone il cosiddetto rispetto dell’“ordine cronologico” dei pagamenti che si traduce in un piano oggettivo di previsione dei pagamenti ai creditori proprio per evitare il dirottamento dei fondi dai servizi essenziali verso altri soggetti per così dire privilegiati. Cosa che, evidentemente, non è stata attuata in molte realtà le quali hanno evitato di mettere i conti in ordine. Anzi, di fatto queste Asl sono state autorizzate a perseguire il disordine con la sospensione delle azioni esecutive. Detto questo sicuramente il legislatore deve intervenire, ma prevedendo delle procedure di liquidazione o meglio di dissesto delle Asl come accade per i Comuni. Cosa che consentirebbe anche la prosecuzione delle prestazioni sanitarie senza ledere il diritto dei creditori, i quali ovviamente saranno pagati in proporzione alle attività esistenti a meno che il legislatore non preveda un intervento finanziario ad hoc. L’importante è che per il futuro tali situazioni non si ripetano e che si introduca il principio che anche per le Asl valgono principi analoghi a quelli vigenti per i Comuni.
Mi spieghi meglio?
Si crea un piano parafallimentare per le Asl che non sono in grado di pagare. Con un commissario liquidatore che gestisce il pagamento ai fornitori da un lato, e dall’altro un sistema di gestione della contabilità per l’ordinario che consente di continuare a fornire beni essenziali al cittadino. Inoltre introdurre meccanismi parafallimentari moralizzerebbe anche il mercato perché, quanti hanno fin ora lucrato sapendo di poter contare sempre e comunque su una copertura economica, desisteranno. E finalmente il sistema tornerà in equilibrio.
In definitiva, se per realizzare il servizio sanitario, si deve evitare di pagare i fornitori, laboratori convenzionati, etc. Allora delle due l’una: o in realtà non ci sono soldi per continuare a sostenere questo modello di assistenza sanitaria pubblica (e non credo) oppure in alcune Asl il disordine ha preso il sopravvento e, temo, sia quest’ultima la cosa più probabile, poiché in tante altre Regioni le Asl funzionano perfettamente. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che tale situazione di sostanziale decozione riguarda solo ed esclusivamente il servizio sanitario di alcune Regioni.
Ester Maragò – Quotidiano sanità – 31 luglio 2013