Altro che mostri. I dinosauri diventano «cuccioloni» vanitosi, che sfoggiano corna, placche e spine – le «bardature» – per attirare l’attenzione di un partner. A riabilitarne la reputazione è Jack Horner, autorità mondiale della paleontologia, nonché consulente dei kolossal preistorici di Steven Spielberg.
La scorsa settimana lo scienziato è stato protagonista di una conferenza organizzata dall’associazione paleontologica A.p.p.i. all’Università La Sapienza di Roma. «Considerare i dinosauri come esseri cattivi è sbagliatissimo – precisa subito -. Film e libri ci hanno impedito di capire che si tratta di animali come quelli che vediamo oggi». Gli esempi più lampanti sono gli uccelli, i loro più stretti parenti viventi. «Sono dinosauri in tutto e per tutto e – continua – non c’è ragione di pensare che i loro parenti preistorici fossero tanto diversi». Partendo da questo presupposto, è facile intuire che, dietro l’aspetto inquietante, non si celassero per forza personalità aggressive. «Le bardature degli uccelli – aggiunge – non vengono quasi mai usate per combattere. E lo stesso valeva per i dinosauri». Del resto, anche gli uccelli più aggressivi e quelli che hanno strutture ossee sulla testa, combattono usando le zampe posteriori e non facendo a testate. «La funzione di quelle strutture era ed è permettere il riconoscimento tra specie, l’individuazione dello stato di salute di un partner e il riconoscimento dei singoli nel gruppo».
Certo, i dinosauri «mansueti» sono meno accattivanti di quelli cattivi. «E questo spiega la scelta di Spielberg di rappresentarli in modo diverso da ciò che erano in realtà», dice Alessandro Carpana, presidente dell’A.p.p.i. «Erano colorati e molti avevano piume spettacolari». Basta pensare all’Archaeopteryx che, con le piume scure, ricorda un corvo. O al Sinosauropteryx e alle sue piume arancioni. O al Velociraptor che, anziché squamoso, era probabilmente coperto da piume coloratissime.
Ma, se il grande schermo è stato infedele, in «Jurassic World» è possibile ritrovare elementi scientificamente plausibili. «Nel film si spiega come i dinosauri ricreati – sottolinea Horner – siano animali transgenici, in particolare l’Indominus Rex, generato unendo frammenti di Dna di vari animali. Oggi non siamo in grado di riportare in vita un dinosauro, come un T-Rex, ma abbiamo la tecnologia per creare proprio un esemplare”manipolato”». È ciò a cui lavora lo scienziato con il progetto «Pollosauro»: ricreare un dinosauro modificando il Dna di un embrione di pollo. Come?
«Quando un embrione si sviluppa, ripercorre molte delle tappe evolutive della sua specie. Quello di un pollo, per esempio, all’inizio della formazione ha tre dita sulle zampe, che poi diventano ali, un inizio di coda ossea lunga, che poi diventa il pigostilo, e piccoli denti che si riassorbono nel becco. Se capiamo come attivare o disattivare i geni che realizzano queste trasformazioni, potremo far nascere un pollo con l’aspetto di un dinosauro». Sarebbe un traguardo straordinario, anche per le implicazioni sulla nostra salute. «Sapere come i geni regolino la formazione della spina dorsale può aiutarci a comprendere meglio un tipo di malformazione che ci colpisce, come la spina bifida», spiega Carpana.
A chi invece si interroga sull’eventuale convivenza con i dinosauri Horner risponde che questi animali di milioni di anni fa non hanno mai lasciato il Pianeta. Li sentiamo cantare e volano sulle nostre teste. Ogni giorno».
La Stampa – 8 luglio 2015