Nonostante un 2014 classificato dagli esperti come l’anno più piovoso dal 1950, secondo l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) il Veneto è la penultima regione d’Italia (poi c’è la Lombardia) per qualità dell’aria. Il motivo? Le polveri sottili.
Sul fronte PM10 il 92% delle 41 centraline Arpav che ne monitorano il livello hanno registrato il superamento della soglia di guardia, ovvero i 35 giorni all’anno in cui è consentito andare sopra i 40 microgrammi per metro cubo d’aria. A un mese e mezzo dalla fine del 2015 i capoluoghi evidenziano dati quasi uguali a quelli rilevati nell’intero 2014, con Vicenza sempre maglia nera (69 sforamenti)seguita da Verona (57), Padova e Venezia (55). Chiudono Treviso (51) e Rovigo (49) mentre Belluno, pur restando entro i limiti di legge, accusa un aumento importante di giorni fuori norma: 25 invece dei 2 dell’anno passato. Non va meglio per il PM2,5, particelle ancora più piccole e pericolose per i bronchi: la media annuale di esposizione è lievitata a 23,8 microgrammi per metro cubo d’aria, contro gli 8,8 della Sardegna, miglior performance italiana. «Il Veneto è malato, questo è risaputo — dice Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto — per inquinamento batte capitali del calibro di Parigi, Londra e Berlino. Un quadro preoccupante, che è sotto gli occhi di tutti dopo un inizio d’anno col botto: nei primi 25 giorni del 2015 Vicenza, Venezia e Treviso avevano già raggiunto la metà dei superamenti massimi annuali di PM10 previsti dalla normativa. Le cause si conoscono e le soluzioni ci sono, occorrono la volontà politica e la capacità di varare strumenti per metterle in campo».
Secondo Legambiente, che ha pubblicato il dossier «Mal’aria 2015», bisogna intervenire sulle emissioni industriali e del riscaldamento domestico (soprattutto legate a caminetti e stufe, da sostituire con quelle di ultima generazione), ridurre il ricorso a combustibili fossili e puntare invece sulle fonti energetiche rinnovabili, incentivare il trasporto pubblico (le nostre province contano 60 auto ogni 100 abitanti e la Regione investe nel sistema ferroviario solo lo 0,13% del proprio bilancio) e quello su ferro per le merci, oggi ancora per il 90% su gomma. Qualcosa è già stato fatto: il Veneto è al primo posto in Italia per il solare termico, al terzo per le bioenergie e al quarto per l’idroelettrico. Ma è ancora poco, considerando che secondo gli esperti «tutta l’area della Pianura Padana risulta fortemente caratterizzata da continua e grave presenza di polveri sottili, in una concentrazione pari solo ad alcune zone della Polonia-Slovacchia, della Turchia e dei Balcani».
Sul fronte dei Comuni però, abbandonate le domeniche ecologiche (l’ultima, a Vicenza, è datata 21 settembre scorso) e le targhe alterne, ci si limita a blocchi programmati dei veicoli Euro 0 e Euro 1 benzina, degli Euro 0, 1 e 2 diesel e dei motocicli immatricolati prima dell’1 gennaio 2000. E il famoso tavolo di coordinamento regionale? «C’è ancora, l’ho convocato la settimana scorsa con i Comuni capoluogo e le Province — spiega Gian Paolo Bottacin, assessore all’Ambiente —. Ognuno ha espresso le proprie iniziative secondo piani differenziati a seconda del territorio. La Regione non può imporre misure centralizzate uguali per mare, montagna, lago e pianura, non avrebbe senso nè esito. Abbiamo però tracciato delle linee guida a contrasto dell’inquinamento nel nuovo Piano Aria, approvato dalla giunta Zaia lo scorso agosto e in attesa del benestare del consiglio regionale. Contiene interventi sul traffico, per esempio il ricorso a combustibili ecocompatibili per i mezzi pubblici, e misure di contenimento delle emissioni industriali e del riscaldamento domestico».
«Siamo messi male — nota il professor Antonio Mantovani, docente di Prevenzione e controllo integrato dell’inquinamento nel Dipartimento di Ingegneria industriale all’Università di Padova — l’Italia è incappata in procedimenti di infrazione multati dall’Europa. Va però detto che negli ultimi tre anni la situazione in Veneto è migliorata, perché la crisi economica ha indotto un calo significativo dell’attività dell’industria primaria, fonderie e acciaierie in testa, e del traffico. Diminuito anche a causa dell’aumento del prezzo del petrolio. Molto va ancora fatto per fluidificare la circolazione, introducendo più bretelle di scorrimento, e per incentivare l’uso dei mezzi pubblici, con una maggiore informazione».
Michela Nicolussi Moro . Il Corriere del Veneto – 13 novembre 2015