Il contratto a tempo indeterminato “a tutele progressive”, per le nuove assunzioni, dovrà trovare applicazione «dall’inizio di gennaio» (anche per usufruire, da subito, delle risorse economiche inserite nel ddl stabilità). E, comunque, l’intero Jobs act «è approvabile anche così», senza quindi apportare alcuna modifica rispetto al testo licenziato i primi di ottobre dal Senato.
È il ministro Giuliano Poletti, a chiarire ieri le intenzioni del Governo: «Noi siamo convinti che il ddl delega così com’è sia in grado di far fare un grande passo avanti al mercato del lavoro, alla semplificazione delle norme e all’allargamento delle tutele». E quindi va licenziato in fretta per consentire alle norme di entrare in vigore già nel 2015: «Non ci sono elementi di preoccupazione specifica – ha aggiunto Poletti -. Il Pd ha approvato una sua posizione in direzione e questo è sufficiente per farci dire che le cose si possono fare».
Le parole del ministro del Lavoro (anche la collega, titolare della Funzione pubblica, Marianna Madia, ha ribadito ieri come dopo l’approvazione del Jobs act nessuno avrà meno diritti di quanti ne ha oggi) suonano come un messaggio piuttosto chiaro all’ala di minoranza del Pd, che continua a chiedere all’Esecutivo di approvare prima la legge di stabilità e solo successivamente la delega lavoro (per avere definite le risorse aggiuntive necessarie a supportare il riordino degli ammortizzatori sociali, che verranno estesi ai collaboratori). La minoranza dem chiede pure correttivi (in sostanza di recepire il documento approvato in direzione, specie su mantenimento della tutela reale per i casi gravi di licenziamento disciplinare e specifica dei contratti precari da eliminare, a partire dai cocopro); ma la trattativa all’interno del partito democratico è in una fase di stallo e non è ancora stata raggiunta un’intesa (che a questo punto dopo sembra in salita). «A mio avviso una mediazione va perseguita – ha dichiarato il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (che è anche relatore) -. E in ogni caso il testo approvato dal Senato, così com’è, non può essere la base di un accordo». Ma per Ncd non si può continuare a chiedere di ridimensionare la portata della riforma dello Statuto dei lavoratori su articolo 18, mansioni e tecnologie di controllo a distanza: «Qui sta il cuore del nuovo testo unico – ha spiegato il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ncd) -. In questo senso è rilevante la possibilità di risolvere il rapporto di lavoro sulla base di adeguati indennizzi, con quei rari lavoratori che risultano particolarmente fuori dal coro per la bassissima capacità e produttività. In ogni modo, ogni eventuale modifica al Jobs act potrà essere solo il frutto di accordi nella maggioranza».
L’esame del Jobs act in sede referente riprenderà martedì. Mercoledì scade il termine di presentazione degli emendamenti. Per il premier Renzi, il rispetto dei tempi è fondamentale; anche per supportare, con regole chiare e semplici, la crescita dell’occupazione, dopo i primi risultati positivi certificati dall’Istat (+82mila occupati a settembre su agosto). Certo, alcuni nodi interpretativi nel Jobs act ci sono. A partire dal chiarimento sull’impossibilità di autorizzare la cassa integrazione per i rami d’azienda cessati: «La questione è complessa – ha sottolineato il sottosegretario, Teresa Bellanova – ma il governo è pronto ad aprire una riflessione in sede di stesura dei decreti delegati».
Il Sole 24 Ore – 7 novembre 2014