Dal Sole 24 Ore. Lo scrutinio non è ancora completato ma i dati resi noti già confermano che in Italia è in atto un vero e proprio terremoto politico. Due gli elementi politici che emergono prepotentemente: il M5S risulta essere con ampio margine il primo partito e il primo gruppo parlamentare con un risultato oltre il 30% che nelle regioni meridionali si avvicina o supera il 40%; il sorpasso della Lega su Fi, che sposta significativamente a destra l’asse della coalizione anche grazie al discreto risultato ottenuto da FdI, il partito di Giorgia Meloni. Due dati che si impongono sugli scenari post voto.
Addio alle larghe intese
Con un Pd crollato sotto 20% e con il partito di Silvio Berlusconi ridimensionato nella coalizione di centrodestra, le possibilità di un governo di larghe intese come quello nato all’inizio della scorsa legislatura (Pd-Fi-centristi) si allontanano definitivamente dall’orizzonte per mancanza di numeri in Parlamento.
La vittoria monca di Fi e Lega
Pur confermandosi prima, la coalizione di centrodestra non ha ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento. Anche perché nelle regioni del Sud il M5s è andato anche oltre il 40% conquistando collegi uninominali ritenuti fino a prima del voto appannaggio del centrodestra. Senza una maggioranza in almeno una delle due Camere, un governo di centrodestra non può partire. Una constatazione che porta con sé anche un altro effetto: Matteo Salvini ha conquistato la leadership del centrodestra ma è assai improbabile che possa invece ottenere la guida del governo.
Il governo «sovranista»
Con il M5s primo partito e la Lega alla guida del centrodestra, sulla carta ci sarebbero i numeri per la cosiddetta coalizione “sovranista”, alla quale potrebbe aderire anche il partito di Meloni nonostante finora lo abbia sempre escluso. Un’ipotesi che è meno inverosimile di quanto apparisse prima dei voto. Anche per le “affinità elettive” manifestate in questa campagna elettorale e anche prima da Lega e 5 Stelle su temi come la legge Fornero (tanto Salvini che Di Maio ne propongono l’abolizione), il Jobs act e il rapporto con l’Europa. L’ostacolo politico potrebbe essere la tenuta dei 5 stelle qualora si aprisse all’ipotesi di un governo sovranista: da sempre l’ala più movimentista si è schierata contro un possibile accordo con il partito di Salvini ma la svolta governista di Di Maio potrebbe alla fine avere la meglio. È un’ipotesi, inoltre, che si scontra con le preoccupazioni del Quirinale e di Bruxelles e che rischierebbe di provocare forti preoccupazioni soprattutto all’esterno, riflettendosi anche sui mercati e in particolare sulle aste del nostro debito pubblico.
Soluzione governissimo
La prospettiva al momento più concreta è quella di uno stallo di non breve durata che inevitabilmente farà emergere il ruolo del Capo dello Stato. Se nessuna delle precedenti ipotesi sarà praticabile, Sergio Mattarella utilizzerà tutto il suo prestigio per evitare un ritorno alle urne senza sbocchi, vista la difficoltà di ottenere un risultato chiaro con una legge elettorale, qual è l’attuale, a impianto prevalentemente proporzionale. Ci si avvia quindi verso una lunga fase di consultazioni tra i partiti per la formazione di un governo con ampia maggioranza e che dunque comprenda gran parte delle forze presenti in Parlamento, compreso il primo partito ovvero il M5S. Governo che, per avere un appoggio così ampio, deve avere come sua ragione sociale anzitutto la riforma elettorale e probabilmente anche un ritocco alla Costituzione per superare il meccanismo del bicameralismo perfetto. In questi casi per guidare il governo viene solitamente scelta una personalità super partes e comunque con sufficiente autorevolezza per poter ricevere il consenso trasversale della maggioranza delle forze politiche. Ecco perché sarà cruciale il passaggio di fine mese, quando le nuove Camere riunite saranno chiamate ad eleggere i loro presidenti. L’elezione dei presidenti deve avvenire con la maggioranza assoluta dei voti. Ma mentre al Senato dalla quarta votazione è previsto il ballottaggio tra i due più votati, alla Camera la procedura è più complessa perché si vota a oltranza fino a quando non si raggiunge il 50% più uno dei consensi. Ed è ad uno dei due nuovi presidenti che Mattarella probabilmente guarderà per l’assegnazione di un mandato esplorativo.
Il ruolo del governo Gentiloni
La mancanza di una chiara maggioranza inevitabilmente prolunga la vita del governo Gentiloni. Il pessimo risultato del Pd tuttavia indebolisce anche il premier uscente. A prescindere dalla presentazione delle dimissioni, è comunque assai probabile che, vista la complessità di dar vita a una maggioranza parlamentare e a un nuovo esecutivo, ad approntare il Def ad aprile sarà il governo in carica, al quale spetterà anche il difficile compito di rassicurare i partner a Bruxelles nei prossimi vertici europei.
Barbara Fiammeri e Emilia Patta – 5 marzo 2018 – Il Sole 24 Ore