Stando a rumors dell’ambiente, alcune direzioni della Commissione Europea scettiche sull’uso dei profili nutrizionali- criteri per valutare la qualità nutrizionale complessiva di un alimento e così consentire o meno l’uso di messaggi salutistici promozionali- avrebbero proposto una estesa valutazione di impatto.
Ritardando così l’introduzione dei profili oltre il 2014 e posticipandone l’adozione alla nuova Commissione (l’attuale avrà vita fino al 2014 infatti). Ma la Direzione Generale Salute e Consumatori sta chiedendo un approccio semplificato e meno oneroso, in contrasto con tali direttorati. Insomma, una prova di forza all’interno all’esecutivo europeo. Che peraltro rispecchia una frattura già aperta nel 2010 entro il Parlamento comunitario: allora infatti la proposta di abolire il sistema dei profili nutrizionali vide una spaccatura perfetta, 309 deputati contro 309. Se ritardare la loro introduzione per un fine superiore, cioè una maggiore efficacia e tutela dei cittadini è sicuramente un bene, bisogna ancora capire cosa accadrà e quali tendenze prevarranno. Se quella dilatoria in quanto tale (magari con la speranza di annullarne l’introduzione nei fatti) o invece quella di una seria, vera valutazione del contenuto nutrizionale degli alimenti.
Le novità
Oggi la situazione potrebbe essere valutata con più elasticità dalla Commissione, in ragione della stagnazione economica perdurante, che porterebbe stando ad alcuni, a non cercare soluzioni percepite come “punitive” per le aziende alimentari. Una sorta di mani libere insomma.
Sta di fatto che i consumatori sembrano ancora essere i soggetti maggiormente colpiti: raggiunti da messaggi di marketing nutrizionale e salutistico anche forti, ma senza la tutela dei profili nutrizionali.
Se la preoccupazione originale della DG SANCO era quella di evitare proprio un eccesso di marketing salutistico, successivamente diversi soggetti hanno portato all’attenzione la rischiosa “discriminazione” tra alimenti buoni e cattivi che ne sarebbe seguita, bollata frettolosamente come ideologica nel nome del “sono le diete che contano”. E addirittura, considerando come i profili nutrizionali potessero essere considerati fallaci da un punto di vista scientifico, e non in grado di “fotografare” la realtà degli alimenti.
Per contro …
Il testo del reg. 1924/2006 è stato sempre chiaro: non si tratterebbe solo di stabilire soglie massime di nutrienti “cattivi” o critici entro gli alimenti (come fanno già il traffic light britannico, assegnando il colore rosso, ad esempio), ma di valutare nel suo complesso la bontà nutrizionale di un alimento. Secondo metriche complessive, non scorciatoie semplificate o peggio ancora, “soglie”. Non cibi “buoni” o “cattivi” per decreto, insomma, ma alimenti più o meno desiderabili questo sì.
A questo punto, urge sottolineare che tanti sono gli indicatori anche validi da un punto di vista scientifico, della qualità composizionale degli alimenti (per una rassegna interessante, si veda Drewnowski).
Sistemi di questo tipo consentirebbero davvero di fare una cosa seria: distinguere alimenti solo apparentemente sani perché magari riformulati (o con acqua aggiunta, al fine di abbassare il tenore calorico, di grassi e zuccheri) e prodotti invece intrinsecamente nutrienti, che per ogni caloria fornita sono in grado nello stesso tempo di garantire tutta una serie di micronutrienti essenziali. Molti di questi ultimi prodotti alimentari guarda a caso sono prodotti di origine agricola, come latticini: solo apparentemente poco sani, e riabilitati se si considera la porzione d’uso e appunto, tutti i preziosi nutrienti che sono in grado di fornire.
Ci auguriamo una discussione franca, scevra da pregiudizi, e che la smetta di usare la foglia di fico delle diete come unico criterio di valutazione per capire se si mangia bene o male. E’ innegabile, certi alimenti sono meno sani di altri e vanno limitati. Si tratta per lo più di alimenti costruiti negli ultimi decenni a tavolino da alcuni grandi gruppi transnazionali a partire da ingredienti a basso costo, ubiquitari, in grado magari di creare una vera e propria dipendenza nel consumatore, in ragione del contenuto elevato di grassi, zuccheri e sale, sostanze in grado di agire positivamente a livello della “ricompensa” cerebrale (simili in questo alla nicotina ad esempio).
Per farsi un’idea, si legga il bel libro di Michael Moss, vincitore del Pulitzer Prize e reporter d’assalto: sale, zucchero e grasso è il titolo. E intanto, si continui a riflettere sull’uso dei profili nutrizionali: un progetto guarda a caso, assente in USA, ma che potrebbe essere introdotto sensatamente in Europa.
sicurezzaalientare.it – 2 maggio 2013