Una partenza ambiziosa, ma una crescita senza obiettivi chiari. E la politica che mette toppe, rinviando le scelte su due domande: voglio ancora un centro di ricerca finanziato in parte dal pubblico e quanto sono disposto a metterci? O se la struttura deve autosostenersi, quali sono i piani e i tempi per arrivarci?
Il risultato è visibile in questi giorni nella parabola di Veneto Nanotech, la spa consortile nata nel 2002 per coltivare un grande polo di ricerca sulle nanotecnologie in Veneto, che rischia ora la liquidazione. Un fatto che significherebbe bruciare investimenti già compiuti, secondo alcune stime, di almeno 40 milioni di euro e lasciare a piedi 50 dipendenti, di cui 35 ricercatori, nei laboratori di Marghera, Padova e Rovigo (a 12 il contratto scade domenica). L’esito sul filo di lana si conoscerà tra oggi e domani, quando scade il termine per l’aumento di capitale da 2,8 milioni deciso dai soci a a febbraio, per coprirne 3,5 di debiti.
Gli ultimi giorni sono febbrili. I ricercatori sono scesi in sciopero lunedì contro la Regione. Intanto va avanti il tentativo di salvataggio. L’amministratore unico Gabriele Vencato, 57 anni, l’assicuratore e politico vicentino, già nel cda, a cui la Regione ha affidato da febbraio Veneto Nanotech, tenta con realismo e determinazione di trovare la via d’uscita: l’ingresso di alcuni soci privati – tre si dice – che si farebbero carico del grosso dell’aumento, per diluire la quota della Regione, con i relativi impegni finanziari, dal 76% al 15-20%. Ieri la visita ai laboratori per la decisione.
Se il tentativo avrà successo, le domande da risolvere per ripartire restano comunque quelle: Veneto Nanotech esiste per far cosa? Quali strutture servono? Con che soldi si fanno funzionare? Nodi irrisolti nella crescita del distretto partito con l’accordo del maggio 2001 tra governo e Regione sui progetti di ricerca per nanotecnologie e biotecnologie. Il risultato è l’intesa che a novembre 2002 lancia il Distretto delle nanotecnologie al Vega di Marghera e l’accordo, nel 2004, tra i ministeri dell’Economia, dell’Università e la Regione sui fondi per la ricerca. I soldi per partire non mancano: tra 2002 e 2007 – secondo i dati della delibera regionale 2551 del 2009 – il governo, via Cipe, dà alla Regione 18,3 milioni, che diventano 19,3 con i soldi di Venezia.
Finanziano 21 progetti di ricerca del Civen, la struttura che coordina la ricerca nelle nanotecnologie sui materiali delle 4 università venete, lanciata a marzo 2003. È la struttura-base del distretto, un laboratorio di duemila metri quadrati impegnato su progetti di ricerca intorno a tessile, meccanica e meccatronica. Ma è solo l’inizio. Al suo fianco nascono, a ottobre 2005, Nanofab, la società che deve sfruttare lo stesso laboratorio per il trasferimento tecnologico alle imprese, e poi Veneto Nanotech, la società che dal 2003 deve coordinare il distretto. Poca cosa all’inizio; ma il ruolo crescerà.
La spinta a creare strutture non si ferma. È proprio Veneto Nanotech, tra 2008 e 2010, a far nascere altri laboratori: il Lann di Padova, centro di nanofabbricazione per l’elettronica, e l’Ecsin di Rovigo, che studia l’impatto delle nanoparticelle su ambiente e salute. Programmi ambiziosi con investimenti sui 10 milioni di euro, 1,5 messi dalla Regione con fondi Ue nel 2008 su Rovigo, in parallelo al forte impegno di Fondazione Cariparo.
Ma forse i piani di sostenibilità non sono altrettanto chiari. E il peso dei numeri inizia a farsi sentire. Il distretto vive una prima razionalizzazione nel 2008, con il lancio della fusione di Nanofab in Veneto Nanotech, che scatta nel 2010; poi tocca alla liquidazione del Civen, a settembre 2013, con il trasferimento dei ricercatori a Veneto Nanotech, ormai società di riferimento. Scelte per razionalizzare la gestione, in un contesto di crisi. Complicato poi dai contenziosi che gravano sulla società: quello con il Vega finito in difficoltà, da un lato sul costo dell’energia, più cara del 35%, e sugli affitti arretrati per 1,2 milioni di euro dovuti da Veneto Nanotech. L’altro contenzioso oppone Regione e università sulla rendicontazione e il pagamento dei progetti di ricerca eseguiti dal Civen. Il risultato è il blocco di pagamenti per oltre 6 milioni di euro da parte della Regione, terminale dei fondi statali; che a cascata stoppa ciò che le università devono a Veneto Nanotech. Il primo round davanti al Tar è andato alle università. Ma il lascito del contrasto tra soci è comunque pesante.
Quel che è chiaro, in ogni caso, con l’andare a regime, è che la gestione di Veneto Nanotech non è in equilibrio. Manca un milione di euro l’anno per far quadrare i conti. Si prenda il bilancio 2013. Ai ricavi da vendite e prestazioni per 1,3 milioni si aggiungono contributi per quasi 3,5: il valore della produzione è di 5,6 milioni, contro costi per 6,2. Il passivo di 604 mila euro sale a 819 mila, con le partite finanziarie. Sommati ai 627 mila del 2012, la perdita in due anni è di 1,4 milioni di euro.
All’appello, dice la relazione al bilancio, mancano 800 mila euro di fatturato rispetto al budget, per «la non confermata crescita delle commesse» del laboratorio a Padova. E poi pesa «la fase di startup dei laboratori Lann ed Ecsin fortemente supportati nel momento della realizzazione, ma privi di sostegno nell’avviamento».
In sostanza, mentre il laboratorio di Marghera, partito molto prima e che ha una ricerca applicata che genera ricavi al fianco dei contributi da progetti, è in equilibrio, altrettanto non lo sono Padova, in un settore con poche imprese, e Rovigo, la cui evoluzione su una ricerca applicata all’alimentare richiede tempo. Veneto Nanotech chiede alla Regione un fondo di dotazione di un milione di euro l’anno per tre anni.
Ma la Regione, che a forza di interventi ha a ormai il 76% della società, prende tempo sulle soluzioni; anche perché, dopo il terzo bilancio in «rosso», non può intervenire. E le elezioni incombono. A fine 2014 prevale la linea del dimissionamento del presidente Luigi Rossi Luciani, l’approvazione di un contributo da un milione di euro per il 2014 e l’insediamento del cda presieduto dalla docente universitaria Francesca Gambarotto. Che prepara una rigorosa due diligence , che fa emergere debiti e svalutazioni. Il conto è severo: serve un aumento di capitale da 2,8 milioni. Una linea rigorosa che va bene, se i soci han le idee chiare su come ripartire. Ma piani industriali non ce ne sono. Torna la linea del prender tempo fino alle elezioni. Ma il termine del 31 maggio è tassativo.
Il risultato è la corsa al salvataggio sul baratro degli ultimi giorni. Alla vigilia delle elezioni. Con una possibile liquidazione che può valere, secondo alcune valutazioni, 8-9 milioni di euro solo come conto della restituzione dei contributi su ricerche che a questo punto non saranno concluse. E che vorrebbe dire azzerare anche il know-how accumulato negli anni. Brevetti, solo per citarne alcuni, come la macchina per trattare i tessuti che evita da far infeltrire la lana, sviluppata con Marzotto; o gli studi realizzati con Campagnolo per migliorare i cambi con i nanometariali o quelli con Dainese per i giubbetti protettivi. O il prototipo di rivelatore della legionella negli impianti dell’aria condizionata, studiata con la Clivet, in un progetto europeo con partner olandesi, spagnoli e svedesi. E la macchina per le applicazioni di nanospray nelle riparazioni dei componenti aeronautici messa a punto con Avio. Val la pena davvero, per il Veneto, di buttare via tutto?
Federico Nicoletti – Il Corriere del Veneto – 28 maggio 2015