La pubblica amministrazione salderà i suoi debiti in 30 giorni, massimo due mesi, e non più in sei mesi, un anno, e anche oltre, come succede oggi. Lo stesso vale per i pagamenti tra imprese.
Lo prevede un decreto legge approvato dal governo nei giorni scorsi. Una norma salutata con favore dalle imprese, ovviamente. Ma che segna un bel passo in avanti nel velleitarismo giuridico.
Perché se le pubbliche amministrazioni hanno finora accumulato quasi 100 miliardi di arretrati la causa non è la pigrizia o l’indolenza dei responsabili dei pagamenti. Il motivo è che non ci sono i soldi. O, se ci sono, non si possono spendere a causa delle regole imposte dal patto di Stabilità. Il governo Monti invece di affrontare questi macigni preferisce aggirare l’ostacolo e, con una norma che comunque consente di guadagnare tanti bei titoli sui giornali, impone una regola che, si sa già, non potrà essere rispettata.
Primo perché l’obbligo di pagare in 30 giorni è già contenuto nel dlgs 231 del 2002, anche se poteva essere derogato. Poi perché il patto di Stabilità interno, una delle cause principali dei ritardi di pagamento, non solo non viene allentato, ma dal 1° gennaio 2013, guarda caso la stessa data di avvio delle nuove disposizioni, sarà esteso ai comuni sopra i mille abitanti (ora interessava gli enti con popolazione sopra i 5 mila).
D’altra parte i trasferimenti agli enti locali sono in continua diminuzione. Tanto che questi motivi hanno reso molto difficoltosa addirittura la certificazione dei crediti delle imprese nei confronti della p.a., figuriamoci il pagamento. Un sindaco o un governatore che non ha i soldi o che se li ha non li può spendere, potrà rispettare i termini di pagamento solennemente fissati dal nuovo decreto? Improbabile.
Lo stesso vale per i rapporti tra imprese private, dove le norme già esistono, ma non sono riuscite a ridurre i tempi di pagamento che anzi, a causa della crisi degli ultimi anni, si sono allungati sempre più. Anche in materia di lotta alla corruzione, l’approccio del governo ricorda sempre più quello delle grida di manzoniana memoria.
La legge approvata mercoledì scorso infatti cerca di chiudere le maglie normative, estendendo la rilevanza penale e la sanzionabilità anche a quelle figure aziendali che non hanno rappresentanza esterna ma che sono sottoposte al controllo degli amministratori e quindi dei vertici aziendali. Con il rischio concreto di ingessare l’azione delle aziende che dovranno, quantomeno, ampliare i propri modelli organizzativi.
Inasprire le pene o allargare l’ambito di applicazione dei reati rischia però di danneggiare solo chi opera in buona fede. Non intimorisce certo i corrotti. Che normalmente si preoccupano di non farsi trovare con le mani nel sacco, non se e quale sanzione potrà essere loro comminata.
ItaliaOggi – 5 novembre 2012