Toccherà ai contratti integrativi garantire che in ogni ufficio il premio individuale per la produttività vada davvero a «una limitata quota massima di personale valutato», senza essere distribuito a tutti secondo la paradossale, ma abituale, eccellenza generalizzata. E a stabilire i «criteri generali dei sistemi di valutazione delle performance» dovrà essere il meccanismo del «confronto», un istituto nuovo nel nome ma molto simile nella pratica alla vecchia concertazione fra amministrazioni e sindacati. Da qui dovranno passare anche i parametri per la mobilità, l’articolazione delle tipologie di orario di lavoro, l’individuazione dei profili professionali e i criteri per attribuire i posti da funzionario non dirigente (le «posizioni organizzative», nel lessico del pubblico impiego). Ma andiamo con ordine.
Il problema è stranoto, e riguarda il fatto che per incentivare davvero le professionalità migliori bisognerebbe superare anche (e non solo) nella pubblica amministrazione l’egualitarismo in busta paga, che schiaccia le carriere e cambia lo stipendio solo a colpi di anzianità. Le soluzioni tentate in questi anni sono molto diverse nella concezione ma simili nei risultati, quasi sempre nulli. Per cambiare strada, la riforma Madia ha abbandonato i parametri rigidi e inattuati della legge Brunetta, che puntavano sui risultati individuali e chiedevano di azzerare i bonus almeno a un quarto dei dipendenti, e ha cercato un nuovo equilibrio fra due valutazioni: quella collettiva, che misura i risultati della struttura, e quella individuale, che pesa il contributo di ciascuno a quei risultati.
Per premiare questa seconda produttività, il contratto propone un bonus individuale, caratterizzato da una doppia regola del 30%: a finanziarlo deve andare almeno il 30% delle (poche) risorse destinate alla performance, e il premio ai migliori deve essere almeno del 30% superiore alla media dei bonus attribuiti ai colleghi. Nelle bozze c’era un terzo parametro, che avrebbe azzerato i premi individuali negli uffici in cui la generosità dei valutatori avesse riconosciuto i “voti” migliori a più del 40% dei dipendenti. Ma proprio quest’ultimo parametro è saltato, lasciando il compito alla concertazione e ai contratti integrativi. E a chi dovrebbe controllarli.
Il Sole 24 Ore – 27 dicembre 2017