Redditometro a chiamata. Il contribuente convocato dall’Agenzia prima della contestazione. Verifica preliminare su correttezza dati reddito
Può diventare necessario documentare l’eventuale indisponibilità di alcuni dei beni indicati nell’invito delle Entrate. La norma sul nuovo redditometro prevede espressamente l’obbligo, a carico dell’ufficio, di convocare il contribuente per attivare un contraddittorio preventivo all’eventuale accertamento sintetico.
Il primo step si attiva mediante la notifica di un invito a comparire, con il quale l’agenzia, in buona sostanza, chiede spiegazioni circa la provenienza del denaro utilizzato per far fronte agli oneri che risultano imputabili al contribuente.
Nell’anagrafe tributaria, infatti, ci sono moltissime informazioni che possono costituire la fonte d’innesco delle presunzioni da redditometro. Si pensi agli acquisti di immobili, autovetture, sottoscrizioni di mutui, erogazioni di denaro in atti di donazione, l’acquisto di imbarcazioni, anche in leasing, le utenze, le spese superiori a 3.600 euro e così via.
A queste informazioni si aggiungono anche quelle inserite nella dichiarazione dei redditi presentata (si veda il «Sole 24 Ore»). È il caso ad esempio di spese di ristrutturazione edilizia, spese mediche, assegno corrisposto al coniuge, spese sostenute per il decesso di un parente, versamento dei contributi per la colf o anche solo quelli volontari versati all’Inps per fini pensionistici.
In altre parole, dunque, l’amministrazione è a conoscenza del denaro speso dal contribuente e, in caso di difformità rispetto ai redditi dichiarati, richiede delucidazioni in merito alle fonti finanziarie utilizzate per tali acquisti. Il contribuente dovrà così produrre tutta la documentazione ritenuta utile per provare la propria buona fede.
Una volta ricevuta la comunicazione dell’ufficio, il primo riscontro che il contribuente deve svolgere riguarda la correttezza dei dati in possesso dell’amministrazione e cioè che i beni e le spese imputabili al contribuente siano esatti.
È opportuno, infatti, documentare l’eventuale indisponibilità di alcuni dei beni indicati nell’invito. Si pensi a un immobile concesso in uso gratuito ad un familiare o ad un auto acquistata per un altro soggetto. In queste ipotesi, la capacità di mantenimento non è in capo al contribuente, ma bensì al soggetto utilizzatore.
Può tornare utile, ancora, verificare le caratteristiche dei beni indicati dall’amministrazione: ad esempio la casa di abitazione (metri quadrati, percentuale di proprietà e così via) o l’autovettura (potenza o semplicemente il modello), onde riscontrare che siano riportate correttamente.
In secondo luogo, il contribuente dovrà dimostrare all’ufficio quale fonte di finanziamento abbia consentito l’acquisto o il mantenimento di tali beni. Potrebbero essere intervenuti, infatti, prestiti ottenuti da istituti bancari o da terzi, donazioni di denaro, redditi legittimamente non confluiti nella dichiarazioni (redditi esenti, tassati alla fonte, ecc), liquidità giacenti sui propri conti perché derivanti da risparmi pregressi e così via. Situazioni, queste, che andranno provate e documentate, ad esempio, con contratti registrati, copie degli estratti conto, bonifici o simili. Rilevano anche eventuali disinvestimenti, immobiliari o mobiliari (smoblizzo di titoli, fondi, azioni e così via), in quanto possono certamente aver contribuito a aumentare la disponibilità finanziaria.
Tuttavia, è prassi che l’ufficio per avere dimostrazione certa che tale denaro abbia realmente contribuito per gli acquisti imputabili al contribuente, pretende un qualcosa in più. Infatti, oltre alla prova documentale di tali circostanze, i controllori richiedono, di sovente una sorta di corrispondenza diretta tra il corrispettivo derivante dallo smobilizzo e l’acquisto eseguito. Spesso, ad esempio, a chi ha venduto un immobile è stato chiesto di dimostrare che la somma incassata non sia stata reinvestita o spesa per altri fini.
Di ogni incontro tra contribuente e Agenzia deve essere redatto verbale con l’indicazione dei documenti consegnati e le giustificazioni di parte. Ne consegue che risposte puntuali e tempestive all’invito dell’Agenzia sono, sicuramente, il primo passo per ben difendersi. La mancata risposta, infatti, oltre a essere punita con la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro, consente agli uffici di procedere induttivamente alla determinazione del reddito. Inoltre, è espressamente previsto che le notizie e i dati non esibiti, o non trasmessi, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
Il Sole 24 Ore – 19 gennaio 2014