Un referendum per tagliare i parlamentari ed uno per aumentare i consiglieri regionali. È la strabica situazione in cui potrebbero ritrovarsi gli elettori veneti, chiamati a confermare il 29 marzo la riforma cara al Movimento Cinque Stelle che riduce di 115 il numero dei senatori e di 230 quello dei deputati ed in una data da definire – e sempre che l’opposizione riesca a raccogliere le firme – il ritocco allo Statuto regionale voluto dalla Lega, che dando la possibilità al governatore di nominare dieci assessori tutti «esterni», di fatto libera altrettanti scranni in consiglio regionale.
Il colpo di scena, ideato da Piero Ruzzante di Leu, ha movimentato la seduta di ieri a Palazzo Ferro Fini, dove l’aula si preparava ad approvare in seconda lettura, senza troppi sussulti, la modifica statutaria già licenziata il 26 giugno 2018 (trattandosi di una modifica allo Statuto, la «Costituzione» del Veneto, è previsto un iter aggravato). L’argomento, era stato oggetto di scontro tra i consiglieri di maggioranza e quelli di opposizione pure al primo round: la riforma voluta dalla Lega prevede che il presidente possa nominare nella sua giunta tutti assessori «esterni» (oggi sono quattro: De Berti alle Infrastrutture, Caner al Turismo, Corazzari alla Cultura e Pan all’Agricoltura), pescando o tra chi non si è candidato (fu il caso di Caner), o tra chi non è stato eletto (come De Berti, Pan e Corazzari) o tra chi è stato eletto che, nel caso, dovrebbe rassegnare le dimissioni da Palazzo Ferro Fini cedendo il posto al primo dei non eletti (con una clausola di salvaguardia voluta a suo tempo da Maurizio Conte di Forza Italia: se il presidente dovesse togliergli le deleghe, l’ex assessore tornerebbe a sedere in consiglio, espellendo il sostituto; questo per evitare che gli assessori siano «ricattabili»).
Ebbene, è chiaro che la norma, motivata da ragioni di operatività condivise anche da alcuni consiglieri di opposizione (oggi molti assessori non riescono ad essere presenti in aula o sono costretti a fissare le riunioni nelle pause dei lavori del consiglio), genera una moltiplicazione degli stipendi e dunque dei costi: oggi i consiglieri-assessori percepiscono un’unica indennità; domani le due figure non potranno coincidere e quindi le indennità saranno due. «Parliamo di 7 milioni a legislatura – fa di conto Ruzzante – soldi che oggi vengono destinati al Sociale e da domani finiranno nelle tasche di qualche consigliere in più. Un vero e proprio blitz di fine legislatura, che fa di Zaia uno zar, l’uomo solo al comando».
Proprio Ruzzante, fine conoscitore di statuti e regolamenti, è quindi passato al contrattacco annunciando la raccolta delle firme tra i colleghi «per sottoporre la decisione ai veneti con un referendum, visto che a livello nazionale, col taglio dei parlamentari, si va nella direzione opposta». Occorrono 11 firme, un quinto dei consiglieri eletti, e Ruzzante ne ha già 7: quelle suo gruppo, più 4 del Movimento Cinque Stelle. Ne mancano altre 4 e ovviamente tutti guardano al Pd: «Il nostro no alla modifica dello statuto è netto – spiega il capogruppo Stefano Fracasso – ma per promuovere un referendum dobbiamo coinvolgere il partito, serve prima un passaggio in direzione». Ci sono 90 giorni di tempo da quando la modifica (comunque ri-approvata ieri a maggioranza) verrà pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione. Con un effetto ulteriore di non poco conto: il referendum avrebbe efficacia sospensiva della nuova norma, che quindi verrebbe congelata fino al verdetto dei cittadini, con riverberi sul voto delle Regionali di maggio e chissà, magari anche sulle trattative in corso per i posti in lista.
«Ricordo ai colleghi della minoranza che in questa legislatura il numero dei consiglieri è sceso da 60 a 50, così come quello degli assessori da 12 a 9 – dice Luciano Sandonà della Lega – quindi non hanno motivo di parlare di spreco di soldi pubblici. Piuttosto un referendum, quello sì non farà altro che dissipare i risparmi dei cittadini».