A fine febbraio le categorie hanno sollecitato i governatori a dare attuazione concreta alla disciplina europea. Può l’Europa, la grande accusata per le politiche di austerità che hanno segnato questi anni, aiutare i liberi professionisti ad attraversare il deserto della crisi, che minaccia di impoverire il patrimonio intellettuale e imprenditoriale anche in un Paese a forte vocazione come l’Italia?
Azzardare oggi una risposta definitiva sarebbe presuntuoso prima ancora che impossibile, ma diversi segnali indicano che una precisa direzione di marcia in tal senso è tracciata e dalle Regioni, enti deputati a smistare sui territori la maggior parte dei fondi europei, giungono i primi sì alla partecipazione a pieno titolo delle categorie ordinistiche ai bandi relativi ai contributi comunitari.
A imporre un intervento di «pronto soccorso» è, del resto, proprio la gravità della crisi: gli Ordini professionali in questi anni hanno visto aumentare gli iscritti, anche over 40, perché data la scarsità di lavoro dipendente sono stati in tanti a puntare sulla libera professione: dal 2007 al 2012 si è registrato un aumento medio del 14 per cento. Questo fenomeno ha fatto sì che al calo di lavoro dovuto alla crisi si aggiungesse anche un aumento dell’offerta, con conseguente ulteriore contrazione dei redditi, che in alcuni casi ha toccato punte del 40 per cento.
La reazione sul fronte europeo è scattata poco più di un anno fa: il 9 gennaio 2013, infatti, è stato approvato e pubblicato l’Action Plan for Entrepreunership 2014-2020 che, per la prima volta, ha incluso espressamente le professioni liberali nel perimetro delle piccole e delle micro-attività di impresa, destinatarie delle misure di incentivo e sostegno comunitario. Ma come rendere concretamente esigibile questo diritto e tradurlo in accesso al credito agevolato, formazione, incentivi all’occupazione?
Dieci giorni fa le categorie ordinistiche hanno bussato alla porta di Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ai presidenti delle Regioni stesse e agli assessori con delega ai fondi Ue. La lettera, datata 28 febbraio e firmata congiuntamente da Andrea Camporese (Adepp), Marina Calderone (Cup), Gaetano Stella (Confprofessioni) e Armando Zambrano (Rete delle professioni tecniche), chiede di dare attuazione alla disciplina comunitaria e, contestualmente, avviare un tavolo di confronto sull’impatto che la crisi sta determinando sul lavoro autonomo professionale (si veda in dettaglio «Il Sole 24 Ore» del 4 marzo).
Una prima risposta positiva è giunta in questi giorni dalla Regione Sicilia, che ha varato un «Piano giovani» mettendo a disposizione 100 milioni, provenienti dai fondi europei, per il praticantato dei futuri professionisti e l’avvio di attività imprenditoriali autonome degli under 35. «Abbiamo lavorato a questo progetto per otto mesi – spiega l’assessore regionale alla formazione, Nelli Scilabra – e per la prima volta abbiamo messo in sinergia tutti i rami dell’amministrazione. Per coloro che intendono avviare un’azienda abbiamo anche previsto un protocollo di intesa tra gli assessorati regionali alla formazione, alle attività produttive e all’agricoltura, ulteriormente esteso alle associazioni di categoria».
Nel dettaglio, il progetto punta sull’occupabilità degli under 35 e sulla creazione di start up. Trenta milioni sono destinati specificamente ai professionisti: 12 per le indennità dei praticanti avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e giornalisti, i quali percepiranno 400 euro mensili (compresa la quota di cofinanziamento pari a 300), gli altri 18 milioni per i giovani che, superato l’esame di Stato, intendano avviare un proprio studio professionale.
Analogamente, la Campania non solo ha stanziato un fondo di 120 milioni per il microcredito, di cui 18 sono andati a professionisti, ma, come racconta l’assessore Severino Nappi, «stiamo per deliberare un finanziamento per favorire il ricorso ai giovani professionisti da parte delle Pmi e stanzieremo 20 milioni per l’autoimpresa nei piccoli comuni campani. Un finanziamento di 25mila euro per avviare un’attività anche professionale nella nostra regione è una cifra importante». Si tratterà di un fondo rotativo: il prestito non garantito e senza interessi andrà dunque restituito. «La cosa non ci preoccupa – spiega Nappi – in quanto, per i fondi erogati nel 2012, abbiamo avuto un tasso di restituzione del 96%, nonostante i beneficiari fossero tutti soggetti “non bancabili”».
Il quadro d’insieme, tuttavia, resta frastagliato e complesso. Ci sono anche da sminare numerosi ostacoli di natura formale e burocratica. Per esempio, più di un modulo di domanda relativo ai bandi regionali, la cui compilazione avviene online, richiede tra i campi obbligatori il numero di iscrizione alla Camera di commercio che i professionisti, a meno che non siano organizzati in forme di attività commerciale, normalmente non hanno. Sarà, dunque, decisivo verificare il concreto avvio e gli sviluppi del tavolo di confronto tra le Regioni e le categorie.
Il Sole 24 Ore – 10 marzo 2014