Le borse di studio davvero erogate agli universitari italiani, al Sud, sono il 67 per cento del totale. Uno studente su tre, tra quelli che ne hanno diritto (basso reddito e voti alti, riassumendo), è fuori. Non ci sono soldi sufficienti. In Calabria si arriva al 38 per cento di borse pagate: due universitari su tre non ricevono nulla.
I dati dell’Ufficio statistico del ministero dell’Istruzione dicono che le regioni che nel 2014-2015 avevano bonificato le due tranche (dicembre e giugno) del sussidio di merito erano sette, quattro al Nord e tre al Centro. Non c’era, tra queste, la ricca Lombardia. Non c’era il Piemonte, che aveva erogato l’85 per cento (in recupero rispetto al 30 del 2011). Nel Lazio il 24 per cento degli studenti che avevano diritto era rimasto fuori. E poi, a scendere, il 25 per cento senza borsa in Puglia, il 35 in Sardegna. In Campania nel 2015 metà degli studenti in regola è stato pagato, metà no. In Sicilia ha usufruito del “premio” il 43 per cento. In Calabria – dove cinque assessori regionali su otto sono professori universitari – solo il 38, appunto.
Nell’ultima decade l’Italia è riuscita a inventare una figura sconosciuta altrove: l’idoneo non beneficiario. È uno studente che ha preso un voto alto alla Maturità, ha una media universitaria sopra il 26, gli esami li ha discussi in tempo e, soprattutto, il reddito della sua famiglia non supera i ventunmila euro. Ecco, la legge prevede che chi ha queste caratteristiche – variabili a seconda delle regioni – ha diritto a una borsa di studio (tra i 1.500 e i 2.000 euro se risiede nella città dell’università frequentata, tra i 4.500 e i 5.000 euro se è fuorisede). Ma un idoneo ogni cinque in tutta Italia non riceve nulla.
Com’è possibile negare questo sussidio pubblico per così tanti anni? La prima risposta la offre l’Andisu, l’associazione che si occupa del diritto allo studio: lo Stato italiano spende sul tema 600 milioni di euro quando in Germania l’intervento è da 4 miliardi e in Francia da 3,6. Le borse, da noi, sono pagate attraverso tre voci: fondo statale, fondo regionale e tasse regionali versate da tutti gli studenti. Spesso, e molto spesso al Sud, questi soldi non tornano in pasti in mensa per gli “idonei”, alloggi gratis e soprattutto borse di sostegno.
Salvatore Bullotta, assistente culturale del presidente della Regione Calabria, spiega: «Nei nostri bilanci, costretti ogni anno a risanamenti, riusciamo a garantire 4,9 milioni per il diritto allo studio. Con fatica. I risultati sono le poche borse che onoriamo. A fine 2015 abbiamo tagliato l’agenzia regionale erogatrice e abbiamo girato il compito ai tre atenei. Per l’Università Magna Graecia di Catanzaro è la Regione Calabria a pagare i dipendenti. Abbiamno lavorato anche sui fondi europei: da lì, 80 milioni sull’università e una quota proprio sulle borse di studio. Ora dobbiamo alzare il bilancio ordinario, ma senza toccare altre partite». Già. Le Regioni mostrano sensibilità maggiori su sanità e trasporto pubbico, i cui aumenti delle tariffe si avvertono subito. «Non siamo mai andati in tribunale per rivendicare il diritto alle borse di studio», dicono gli studenti dell’Udu, «mancano alcuni decreti attuativi della legge quadro e questo non garantisce una vittoria legale».
L’ultimo guaio, fatto emergere dagli studenti della Link, è la revisione dei parametri del reddito, che ha tolto la borsa ad altri 28 mila studenti italiani facendo crollare il numero degli “idonei” al minimo storico: 107mila. Roberta Dell’Uomini, 24 anni, siciliana fuorisede alla Statale di Milano, dice: «Per quattro anni ho ricevuto 4.100 euro più pasto e alloggio a 250 euro, ma questo settembre ho scoperto che le due case dei miei genitori sul “730” avevano un valore raddoppiato. Addio borsa per l’università proprio quando mio padre perdeva il lavoro fisso».
Repubblica – 19 febbraio 2016