“Renzi stai tranquillo” … se ti ricoverano i dipendenti pubblici continueranno a curarti … la scorta te la continueranno a fare … la tua casa la continueranno a sorvegliare … e se per caso ti succede un problema a casa i Vigili del Fuoco arriveranno sempre … il “grasso che cola” ha il brutto vizio di lavorare.
Non sai dove trovare i soldi? Ma te lo dico io: tagli del 50% gli stipendi da nababbi che percepiscono Generali, Ammiragli, Prefetti e via discorrendo stiamo parlando di qualche centinaia di migliaia di euro l’anno. Poi, passiamo a tagliare un bel pò di sprechi della Presidenza del Consiglio … alle auto superlussuose che si continua “noleggiare” per non dare nell’occhio in luogo di acquistarle (capito i furbi!?!!?!?) … e vedrai che i soldi saltano fuori. Sogni d’Oro. (commento sul blog di Corriere.it)
Alle Rubinetterie Bresciane, il premier: non mollo di un centimetro
Francesco Spini. Al posto del lago, un grande parcheggio. Invece dell’hotel extra lusso, un capannone grande così. La Cernobbio di Matteo Renzi si chiama Rubinetterie Bresciane e sta a Gussago, periferia ovest della «Leonessa d’Italia». Anche qui ci sono gli imprenditori, a cominciare dal numero uno degli industriali, Giorgio Squinzi, venuto al «battesimo» del nuovo stabilimento supermoderno del suo vice a Viale dell’Astronomia, il brescianissimo (è nato a Lumezzane nel ’51) Aldo Bonomi: ha messo sul piatto 50 milioni ed ecco un impianto da 120 mila metri quadrati per la produzione di valvole a sfera e raccorderie in ottone. C’è un ministro, Giuliano Poletti, ancora in sesto prima che, guardacaso, il mal di schiena gli impedisca di proseguire il viaggio per Cernobbio. Vuoi mettere Gussago?
Qui ci sono i quasi 300 addetti con le famiglie (si entra solo con l’invito) che riempiono come un uovo il capannone e accolgono il premier come una rockstar tra strette di mano e autoscatti a non finire. Renzi, prima di farsi un giro tra le presse e pigliarsi la benedizione di Don Virgilio, ringrazia: «Mi hanno detto: ma come? Vai alle rubinetterie e non vai ai grandi convegni (leggasi Cernobbio, ndr)? Ma se l’Italia è quella che è, è perché ci sono un sacco di donne e uomini che nelle piccole e medie imprese – che poi diventano grandi – si sono spaccati la schiena e hanno creato settori in cui siamo numeri uno. Noi dobbiamo difendere la loro storia e il loro futuro!». Bonomi mica se l’aspettava tanto onore, lui nemmeno l’aveva invitato, Renzi: «Sono stati amici comuni a dirgli che noi stiamo investendo e che crediamo nel futuro…», spiega. Al premier racconta il «sogno che non si è mai interrotto» da che nel 1901 Tobia e i suoi fratelli misero in piedi l’azienda. Ma ora chiede che lo Stato «ci metta nelle condizioni di competere». Il messaggio: tagliate le tasse (gli ricorda la pressione al 65,8%), la burocrazia. «Per iniziare a ridurre la pressione fiscale bisogna avere il coraggio di dire che anche nella macchina pubblica i tagli van fatti, che c’è troppo grasso che cola», dice Renzi che quando arriva stringe le mani ai poliziotti, «ché non è un periodo buono per loro». Fa notare che, in questi anni, tutti hanno fatto sacrifici: dagli operai («costretti a stringere la cinghia) agli imprenditori («lo so, la tassazione è allucinante») nonostante gli 80 euro e il taglio dell’Irap del 10%. Tutti tranne la «macchina pubblica nel suo insieme, che ha ancora troppi centri di costo».
Rivendica la differenza tra il dire e il fare, nel giorno in cui Barroso lo accusa di troppi annunci e poche riforme. Molti si lamentano che ci son troppi politici? E «noi abbiamo iniziato a ridurne il numero intervenendo sul Senato». «Bravo!», gli urlano. Applausi anche quando ricorda il tetto agli stipendi dei manager pubblici. Sul punto cita Adriano Olivetti che giudicava etico lo stipendio del manager non oltre le 10 volte di quello dell’ultimo operaio. Tra le citazioni c’è posto per Plauto («Se fai una cosa falla bene») e per «Ginettaccio» Bartali. Uno che «si lamentava sempre» ma quando c’era da prendere la bicicletta, non solo per vincere il Tour de France, «ma per salvare gli ebrei era pronto a rischiare la pelle pur di difendere un valore». Il messaggio? Basta lamentele. «Smettiamo di credere alla cultura della rassegnazione: gli stessi esperti secondo cui siamo finiti sono quelli che negli ultimi vent’anni non ne hanno azzeccata una». Lui invece rilancia sulle riforme. «Le facciamo, le stiamo facendo rispettando i tempi e continueremo a farle, costi quel che costi». E ancora: «Non molliamo di un centimetro». Squinzi che per mesi l’ha criticato, oggi riconosce al premier «cuore, passione, determinazione» nel tirare il Paese fuori dalle secche. E condivide la posizione di Renzi contro «una politica di austerità che dimentica la crescita». Pace fatta nell’«Anticernobbio» di Gussago. Del resto anche Squinzi giura che a Cernobbio «non ci sono mai andato e credo che non ci andrò mai: la giudico una fiera delle vanità, sono abituato a stare in fabbrica».
La Stampa – 7 settembre 2014