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Rifiuti di Napoli. Perquisita la sede delle Bcc venete

Credito facile a Gavioli, indagato il presidente Piva che ribatte: «Noi parte lesa». L’inchiesta campana sul dissesto di Enerambiente torna a Padova. I militari negli uffici della Federazione

PADOVA – Da mesi la procura di Napoli sta cercando di ricostruire tutti i passaggi dei 15 milioni di euro che la Banca di credito cooperativo – Banca del Veneziano ha versato nelle casse di Enerambiente, società del trevigiano Stefano Gavioli, finito in manette lo scorso giugno insieme ad altre 10 persone e ora ai domincialiari nella sua villa di Mogliano. Pesanti le accuse che erano state mosse alla «cricca»: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all’estorsione, al riciclaggio, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, ricorso abusivo al credito. Tra queste 10 persone c’erano anche tre funzionari della Bcc veneziana, sospettati di concorso in ricorso abusivo al credito, in contravvenzione con la legge fallimentare, e truffa. Ora la guardia di Finanza di Napoli ha fatto un passo in più, iscrivendo nel registro degli indagati Amedeo Piva, presidente della Bcc e amico di Gavioli.

Il sospetto è che Piva, come presidente della Bcc veneziana, fosse a conoscenza dello stato di Enerambiente e che, avendo saputo che i suoi tre sottoposti (poi arrestati) avevano proceduto a erogazioni fatte senza titolo di garanzia, non abbia avvisato le autorità. Per questo ieri i finanzieri del Nucleo tributario della guardia di finanza di Napoli, comandati dal colonnello Massimo Gallo, gli hanno notificato l’avviso di garanzia e hanno eseguito un’ordine di perquisizione nella sua abitazione nel Veneziano, e nella sede della Federazione della banche di credito cooperativo che si trova in via Longhin a Padova. Perquisizioni sono state fatte anche nella casa e negli uffici del presidente del collegio sindacale Daniele Rubin,ma quest’ultimo non risulterebbe indagato.

Piva, da noi contattato, ha dichiarato la piena disponibilità a collaborare con la magistratura di Napoli, ribadendo la posizione già presa all’indomani degli arresti dei suoi collaboratori: ovvero che la banca è «parte lesa» del castello di falsità che sarebbe stato messo in piedi da Gavioli. Su ordine del giudice per le indagini preliminari infatti il 20 giugno sono finiti in carcere Gavioli e anche i collaboratori di Piva, ovvero Alessandro Arzenton, Manuela Furlan e Mario Zavagno. Arzenton, padovano di 50 anni, era il direttore della Bcc Veneziana, estromesso successivamente dal suo incarico. Manuela Furlan, veneziana di 50 anni, era direttrice della filiale di Malcontenta (Venezia) e Mario Zavagno, 63 anni, era responsabile del settore crediti della sede centrale. I pubblici ministeri Danilo de Simone, Ida Teresi, Maria Sepe e Luigi Santulli, riscontrarono gravi indizi di colpevolezza in merito ai reati di concorso in ricorso abusivo al credito e truffa. In particolare i magistrati rilevano che i tre (e il resto della «cricca» di Gavioli, ovvero Maria Chiara Gavioli, Paolo Bellamio, Giancarlo Tonetto, Enrico Prandin, Giorgio Zabeo Giovanni Faggiano, Stefania Vio, Loris Zerbin) avrebbero «dissimulato il dissesto e lo stato di insolvenza di Enerambiente spa con l’accordo dei funzionari e dipendenti della Bcc del Veneziano (…) i quali con condotte attive e omissive concorrevano a ottenere elargizione di flussi finanziari a fronte di una rappresentanza cartolare fittizia e a nascondere la reale situazione economico-finanziaria».

Nel mirino, come appare nelle prime pagine dell’ordinanza che ha disposto il carcere, ci sono 15 milioni di euro concessi non solo non chiedendo garanzie ma sapendo che la società stava andando in decozione. In particolare, si legge nell’ordinanza «l’accusa evidenzia che tale condotta veniva realizzata grazie ad una intesa con alcuni funzionari della banca di credito cooperativo – banca del Veneziano – i quali erano a conoscenza sia dello stato reale delle società sia della falsità dei dato forniti dalla stessa e tuttavia continuavano a deliberare ulteriori concessioni di credito mentre allo stesso tempo bloccavano la trasmissione di segnalazioni di operazioni sospette sui conti correnti nei rapporti bancari della società agli uffici della Banca d’Italia, omettevano il controllo sulla solvibilità del debitore e sulla veridicità di fatture e contratti prodotti anche quando esistevano segnali di allarme chiari che venivano ignorati ». In tutto questo appaiono sospette, e quindi trasmesse all’autorità giudiziaria a garanzia dell’indagato Amedeo Piva, alcune telefonate fatte con Gavioli e con il suo attuale avvocato, in cui sembra essere a conoscenza delle omissioni dei suoi collaboratori.

Corriere del Veneto – 3 agosto 2012

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