Repubblica. Inchiodati al 6 per cento della spesa complessiva, con ritardi nei pagamenti «agli attuatori e ai realizzatori» per oltre la metà delle misure. “Formalmente” saremmo in linea con gli obiettivi di spesa previsti: 20,4 miliardi. Ma la Corte dei conti nella relazione sullo stato di avanzamento del Pnrr “depura” questa cifra dalle spese collegate a misure preesistenti, i bonus edilizi e gli incentivi all’industria. Risultato: ne rimangono solo 10. Considerato che anche quest’anno rimarremo indietro di quasi 15 miliardi, per spendere i 191 complessivi del piano entro il 2026, calcolano i magistrati contabili, saremo obbligati a concentrare una parte importante delle risorse tra il 2024 e il 2025, oltre 45 miliardi l’anno. Un’impresa non semplice, ammette lo stesso ministro al Pnrr Raffaele Fitto: «Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa Relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa».
Poco personale stabile
Difficile portare avanti misure complesse come quelle del Pnrr con personale non stabile, scrive la Corte dei Conti. Un difetto originario del piano, che però sta esplodendo, al punto che «è stata concessa la possibilità di avviare specifiche procedure di stabilizzazione».
Non ancora pienamente centrato il vincolo del 40% delle risorse per il Mezzogiorno. A guardare in profondità, mancano ancora all’appello risorse là dove più servirebbero, a cominciare dai fondi per la transizione digitale, fermi al 36,3%. E se si guarda ai progetti “identificati” si rimane sotto il 40% anche su settori cruciali come ricerca, lavoro, istruzione e transizione ecologica.
Piano nazionale al palo
Se il Pnrr arranca, il Piano nazionale complementare (Pnc) finanziato con 30,6 miliardi, è praticamente ancora ai blocchi di partenza. Travolti dai rincari delle materie prime e dell’energia, gli obiettivi sono slittati di trimestre in trimestre, al punto che per il primo semestre di quest’anno «agli obiettivi non completati, in ritardo o parzialmente completati nel 2022 (40) si aggiungono ulteriori 37 adempimenti».
I ritardi, progetto per progetto
Alcuni obiettivi sono quasi compromessi. Come quello che prevede la realizzazione di almeno 41 interventi infrastrutturali nelle Zes, le Zone economiche speciali. La scadenza è fissata al 31 dicembre, ma la Corte scrive che centrarlo «risulta arduo». In alcuni casi non si è arrivati neppure a indire le gare. E così le infrastrutture che devono collegare le aree industriali alla ferrovia sono rimaste sulla carta. Poi ci sono i progetti che sono partiti, ma che vanno a rilento. Quelli del programma “Qualità dell’abitare”, per le periferie delle città, scontano una spesa inferiore a quella programmata; all’ultima rilevazione era il 4% di quella prevista complessivamente per la misura.
Beni confiscati alla mafia Per altri progetti, invece, i magistrati contabili raccomandano di intervenire il prima possibile. «Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie» è il titolo di uno degli interventi più importanti della missione 5 del Pnrr, quella per l’inclusione e la coesione. Ci sono 300 milioni a disposizione per realizzare almeno 200 progetti. Ma dagli atti, sottolinea la Corte, ancora non risultano impiegati gli esperti previsti presso l’Unità di missione e il Dipartimento delle politiche per la coesione.
Non solo. Emerge anche la mancanza di una figura professionale particolarmente competente nel settore dei beni confiscati. Per questo «si torna a sottolineare l’assoluta necessità di immettere quanto prima nel sistema le risorse specializzate». Bisognerebbe correre. E invece il Pnrr arranca.
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