Caso Bolzan, la Corte di Appello di Venezia riduce le pene a tutti gli imputati. L’impiegata infedele dell’Usl 9 è stata condannata a sette anni (in primo grado erano undici). Il fratello Luigi invece passa da otto anni a cinque anni e otto mesi. L’amico Massimo Zanta da cinque anni a tre anni e quattro mesi. Pene che – va precisato – godranno dell’indulto e dunque di una ulteriore riduzione di tre anni.
Ridotto anche l’importo a titolo provvisionale in favore della Regione Veneto (rappresentata dall’avvocato Federico Vianelli), che per decisione del collegio, presieduto dal dottor Giacomo Sartea (con Michele Medici e Luisa Napolitano), passa dai quattro milioni di euro del primo grado, deciso in via provvisionale in rito abbreviato dal giudice Elena Rossi, agli ottocentomila euro di ieri (ma la cifra finale dovrà essere decretata dal giudice civile, al quale è stata rimessa). Una cifra, quest’ultima, composta dagli ammanchi e dai danni «collaterali» (all’immagine e similari): ma solo nelle motivazioni della sentenza, attese fra 45 giorni, sarà precisato meglio tale distribuzione. Peraltro, in sede civile, di fronte al giudice del lavoro, la Bolzan era già stata condannata a risarcire l’Usl con più di cinque milioni.
Le richieste di riduzione di pena erano venute anche dal procuratore generale Antonio De Lorenzi in forza dell’intervenuta prescrizione di alcuni reati (il peculato per tutti i bonifici dopo il 2 settembre 2002 e il falso 31 luglio 2007): il pg aveva chiesto nove anni e quattro mesi per l’impiegata, sei anni e otto mesi per il fratello e tre anni e dieci mesi per l’amico. Ma il processo non è finito: gli avvocati della difesa anticipano l’intenzione di appellarsi alla Cassazione. Giuseppe Basso per Zanta: «Vogliamo ottenere la riqualificazione del reato da peculato aggravato a truffa». Luigi Fadalti per i Bolzan: «Andremo in Cassazione. E registriamo con favore la riduzione della provvisionale a 800 mila euro. Va detto che in ogni caso quei soldi non ci sono: l’Usl si dovrà accontentare degli appartamenti di Nizza venduti all’asta per un valore di 300 mila euro».
Dal canto suo, la Regione può dirsi comunque soddisfatta: la tesi della difesa, che voleva riqualificare il reato, non è passata e l’ente pubblico ha ottenuto il riconoscimento della sua legittimazione a chiedere il risarcimento dei danni (nonostante i cinque milioni dell’Usl). Il caso Bolzan, dunque, non smette di far discutere. La 55enne era stata capace di far sparire tramite operazioni fittizie 3,9 milioni di euro dai conti correnti dell’Usl, simulando dei pagamenti nel proprio conto corrente e in quelli di parenti e amici. Accuse che risalgono fino al 1998, ma lei finì in carcere «solo» il 23 febbraio 2009 prima di venir liberata e condannata in primo grado il 14 gennaio 2011. A corollario, da evidenziare che il 18 marzo è attesa una nuova udienza del procedimento civile a danno dei «correntisti», il clan di amici e parenti che aveva prestato i conti correnti per le transazioni, contro i quali peraltro erano già state emesse delle condanne di primo grado già appellate.
Il Corriere del Veneto – 3 marzo 2015