Il taglio delle pensioni d’oro, almeno nella sua versione parlamentare affidata al progetto di legge 1071 che giace alla Camera dal 6 agosto, sembra di fatto saltato. O quantomeno finito su un binario politico morto. La Lega che pure ha cofirmato quel progetto con il suo capogruppo Riccardo Molinari, assieme al collega pentastellato Francesco D’Uva – si dice sicura di convincere M5S a dirottare l’intervento su un contributo di solidarietà. Più facile da realizzare e soprattutto spiegare.
La svolta è arrivata quando il vicepremier Matteo Salvini si è reso conto del boomerang insito nel pdl 1071. Un esempio su tutti l’ha indotto alla brusca virata politica. Un pensionando che matura 43 anni e 3 mesi di contributi nel 2019 può andare in pensione di anzianità in base alle norme Fornero. Se ha iniziato a lavorare appena maggiorenne, uscirà a 61 anni. Ma se ha avuto una carriera brillante che lo porterà alla quiescenza con un assegno sopra i 4 mila euro netti al mese, subirà un taglio del 17%. E questo non perché il pdl 1071 ricalcola in chiave contributiva quella parte della pensione d’oro maturata col sistema retributivo ( in base alle ultime buste paga). Idea in sé equa – nonni come i nipoti, prendi la pensione che ti spetta in base a quanto hai versato – seppur impossibile da realizzare, per la difficoltà a ricostruire la carriera contributiva dei dipendenti pubblici ( i dati non ci sono).
Il taglio del 17% arriverebbe solo perché vengono ricalcolate le età di uscita, per il passato e per il futuro. Nel 2019 dunque i suoi 61 anni sarebbero confrontati con 67 anni, l’età per la pensione di vecchiaia. E quindi il nostro pensionando sarebbe ” punito” come se avesse anticipato la pensione di 6 anni, cosa che in realtà non fa. Appurati questi meccanismi – e valutato il danno, soprattutto per il popolo dei pensionati di anzianità che largheggia al Nord e nell’elettorato leghista – Salvini ha deciso di frenare.
« Anziché abrogare la Fornero, così la peggioriamo», gli hanno suggerito i suoi consiglieri. Un boomerang politico enorme. Ecco dunque che rispunta dal cassetto il contributo di solidarietà. Il meccanismo, le soglie, lo scopo sono tutti elementi da definire, quando alla ripresa le parti si vedranno e apriranno un tavolo ad hoc. Che tenga conto anche di ciò che deve essere collocato nella legge di Bilancio. Come “quota 100”, la promessa elettorale inserita nel contratto di governo per consentire l’uscita ad almeno 64 anni con 36 di contributi. L’eventualità che il progetto di legge Molinari- D’Uva caldeggiato dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che però lo racconta come un puro ricalcolo contributivo, dunque non per quello che è – possa inficiare anche “quota 100” c’è.
Motivo in più per non farne niente. E ripiegare sulla vecchia idea del prelievo alle pensioni dei benestanti. In nome di una sacrosanta solidarietà con i pensionati più poveri. Potrebbe anche non essere un taglio lineare riservato agli assegni d’oro. Ma legato al livello di reddito, ad esempio: da un minimo di 0,35% per le pensioni da 2 mila euro lordi fino al 15% per quelle top, con scatti progressivi. E soprattutto temporaneo – 3 anni – così da riversare le risorse recuperate, stimate in 1 miliardo e mezzo, nel finanziamento ad un credito di imposta di 6 anni per le assunzioni di giovani. Un esempio, una volta tanto, di solidarietà intergenerazionale.
Repubblica