Nessuna riapertura del dialogo con i medici di famiglia. Il consiglio regionale straordinario celebrato ieri su richiesta dell’opposizione ha bocciato con 25 voti contrari e 21 favorevoli la mozione, introdotta da Bruno Pigozzo (Pd), che impegnava la giunta Zaia ad accogliere le richieste della categoria, così da scongiurare lo sciopero già in parte attuato e programmato fino a maggio 2018. I medici di base hanno proclamato 28 giorni di protesta dal 19 settembre, che prevedono fino alla prossima settimana il blocco dell’invio della ricetta telematica e da 8 e 9 novembre la chiusura degli ambulatori, causa «la mancata attuazione del Piano sociosanitario». In particolare, come riportava la mozione bocciata, chiedono di: sbloccare le Medicine di gruppo integrate (gli ambulatori h12 o h24), ferme da febbraio; aprire tutti i 3038 posti letto territoriali (ne mancano ancora 1263) previsti a fronte della chiusura, nel 2014, di 1212 ospedalieri, ricorrendo a nuovi ospedali di comunità, Unità riabilitative territoriali (Urt) e hospice per terminali; garantire le cure palliative h24; avviare il Fascicolo sanitario e la ricetta elettronici.
«Solo 55 Medicine di gruppo integrate sulle 86 autorizzate hanno visto la luce — ha detto Claudio Sinigaglia (Pd) — nonostante il Piano sociosanitario, prorogato a fine 2018, le indichi come l’unico modello organizzativo per le cure primarie. Un letto ospedaliero costa 600 euro al giorno, contro i 150 di uno territoriale: dov’è finito il risparmio derivato dalla chiusura dei 1212 posti ospedalieri? Il piano è stato disatteso anche in merito alla realizzazione delle strutture intermedie, l’altra risposta alla cronicità, che oggi assorbe tre quarti delle risorse della sanità per un quarto della popolazione. E infine dal 2000 aspettiamo la riforma delle Ipab». Appelli a «riaprire il dialogo nell’interesse dei cittadini e in particolare delle 40mila famiglie costrette a seguire malati cronici a casa» sono arrivati da Jacopo Berti e Patrizia Bartelle(M5S), Cristina Guarda (Alessandra Moretti presidente), Giovanna Negro (Fare!), Graziano Azzalin e Orietta Salemi(Pd). Invano. In mezzo la provocazione di Stefano Valdegamberi (gruppo misto), che ha poi detto di aver ricevuto un «sms minaccioso da un medico veronese»: «Mi dà fastidio veder scioperare liberi professionisti garantiti dalla convenzione pubblica. Un privilegio che grida vendetta. A chi sciopera va tolta la convenzione».
Ma perchè, al di là di scontri ideologici e politici, gli ambulatori h12 non decollano? «Veramente sono state attivate 70 delle 86 Medicine di gruppo integrate previste — ha chiarito l’assessore alla Sanità, Luca Coletto — altre 16 sono in via di apertura. Hanno ottenuto un finanziamento di 25 milioni in tre anni, per garantire un accesso più ampio agli utenti durante la giornata. Ma le verifiche condotte finora evidenziano che così non è, perchè spesso questi ambulatori lavorano solo su appuntamento, quindi il paziente, soprattutto fragile e anziano, si trova in difficoltà in caso di necessità extra orario predefinito. In secondo luogo l’Agenzia delle Entrate dice che non esiste dal punto di vista finanziario la Medicina di gruppo integrata e secondo il ministero dell’Economia la novità potrebbe compromettere gli obiettivi economici in capo all’intero Servizio sanitario del Veneto, oltre a rappresentare un’onerosa modalità organizzativa. Insomma — ha chiuso Coletto — nessuno più di me è favorevole al progetto, ma va rimodulato». L’assessore ha poi annunciato l’imminente approvazione in giunta di una delibera che farà partire ospedali di comunità, Urt e hospice per un totale di 883 posti letto territoriali. I rimanenti 380 saranno disponibili entro il 2018. Ma tutto ciò non convince i medici di famiglia. «Abbiamo chiesto un incontro con il direttore generale della Sanità, Domenico Mantoan — rivela Domenico Crisarà, segretario della Fimmg, sigla di categoria — se la Regione vuole andare allo scontro, noi da novembre cominceremo a tenere chiusi gli ambulatori quattro giorni a settimana. E prolungheremo lo stato di agitazione oltre maggio 2018».
Il Corriere del Veneto – 4 ottobre 2017